In un elegante appartamento di Manhattan, un perverso collezionista d’arte mette in scena giochi pericolosi per far fuori la moglie. Lo aiuta una eccentrica avventuriera più perversa di lui. Scritto da Gene Kearney con molti prestiti da Les diaboliques di Clouzot (dal romanzo di Boileau e Narcejac), è un giallo sofisticato che non decolla mai, nonostante il buon cast e la fotografia di W.A. Fraker.
Il ventenne Oscar e la sorella minore Linda arrivano a Tokyo. Oscar vende droga per vivere, mentre la diciottenne Linda lavora come spogliarellista in un nightclub. Una notte Oscar si reca in un locale per concludere un affare, ma gli agenti di polizia lo stanno aspettando per arrestarlo e nella colluttazione che ne segue parte accidentalmente un colpo. Oscar muore ma riemergono le memorie del passato, tra queste spiccano la morte dei genitori avvenuta in un incidente d’auto quando aveva solo cinque anni e la promessa fatta alla sorella di non abbandonarla mai. Gaspar Noé ha colpito ancora. Uno dei più supponenti e narcisistici registi del cinema non solo francese ma mondiale, dopo lo scandalo annunciato di Irreversible torna a provocare in maniera totalmente sterile. Non avendo una storia degna di questo nome a cui affidarsi e non essendo uno di quei Maestri del Cinema in grado di trasformare un’assenza di soggetto in un’esperienza artistica di alto livello, il regista francese torna ad applicare le regolette che presiedevano alla realizzazione del suo precedente lungometraggio. Musica pulsante, luci al neon, acrobatici movimenti di macchina e scene che vorrebbero provocare sconcerto e muovono invece solo al riso o allo sbadiglio. Perché la ripetizione del già detto protratta per la durata di 150 minuti si traduce in un’autoreferenzialità iperbolica a cui nulla, neppure alcune inquadrature ad effetto, possono porre rimedio. Noé, pretendendo anche di farci la morale, si ammira nello specchio del suo cinema. Rischia di ritrovarcisi sempre più solo
Un americano reduce dal Vietnam, complessato e pieno di tare psicofisiche, viene sbarcato a Belfast. Per racimolare qualche soldo, decide di derubare certe infermiere che alloggiano in una pensioncina, ma viene colto da raptus e, anziché depredare le fanciulle, le sevizia e le uccide. Una gli sfugge: fornirà un elemento utile alla sua cattura.
Poiché von Trier ha tra i suoi modelli Bergman, oltre a Tarkovskij cui dedica il film, diciamo che questo suo Scene da un matrimonio è discutibile sin dal titolo. Diviso in 6 capitoli: “Prologo”, “La paura”, “La pena”, “La disperazione”, “I 3 mendicanti”, “Epilogo”. L’ha ideato, scritto e diretto come terapia per uscire da una grave depressione. 2 personaggi in scena (anzi nel bosco) più 1. Lei è fuori di testa dopo aver visto, durante un coito, il suo piccolo Nic cadere dalla finestra della loro casa in città. Per curarla il marito psichiatra la porta in una capanna in mezzo a una foresta. Oltre a quella del sesso, esistono altre 2 pornografie, fondate sulla violenza e sull’imbecillità. Qui sono caoticamente fuse tutte e 3. Che cosa si proponeva l’autore con questo eurofilm dell’horror genitale, osceno e ossessivo, iperbolico e monocorde: scandalizzare il pubblico borghese? Spacciare il proprio forsennato formalismo per un discorso etico, simbolico, allegorico? Ostentare la propria misoginia? Sadicamente sottoporre a una performance estrema i 2 attori che, d’altronde, gareggiano in ardimento mimico-recitativo? Musica: G.F. Händel. Distribuzione: Lucky Red.
Takashi Miike, prolifico regista giapponese dalla media di quattro produzioni l’anno, è una mina vagante pronta ad esplodere con violenza pur di comunicare il proprio messaggio. Adattamento di un romanzo di Murakami Ryu, Audition, spesso indicato come capolavoro dell’autore, non fa eccezione rivelandosi un prodotto particolarmente estremo e di difficile catalogazione. Un produttore cinematografico rimasto vedovo decide, dopo anni di solitudine, di risposarsi. Un suo collega ed amico organizza un’audizione di casting fittizia dove l’uomo, in principio riluttante, incontra una misteriosa giovane di cui si innamorerà follemente: la scelta sfortunamtamente si rivelerà infelice.
John Wayne e due amici hanno a che fare con un politicante che imbroglia i contadini facendo vendere la terra con certificati falsi. Wayne lo smaschera e fa fuori i “duri” al servizio del politicante.
Da un romanzo di C.E. Scoggins. Ingegnere nordamericano lavora a una linea ferroviaria in uno stato dell’America meridionale. Deve vedersela con la natura ostile e una moglie troppo viziata dal padre. Primo e ultimo film di R. Wallace con J. Wayne che, per conto suo, ha voluto dimenticare questo lavoro che considerava un incidente di percorso. Mai si era visto un attore come lui in scene così impostate e pretenziose.
Un film di Nicholas Ray. Con John Wayne, Robert Ryan, Don Taylor Titolo originale Flying Leathernecks. Guerra, durata 102′ min. – USA 1951. MYMONETRO I diavoli alati valutazione media: 2,29 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Da un racconto di Kenneth Gamet. 1942: il nuovo comandante di una squadra di marines alle Hawaii, accolto con ostilità e diffidenza, riesce a conquistare la stima e l’affetto dei suoi uomini. Film su commissione della RKO che, pur non interessandolo affatto, il regista fu costretto a fare. Rimediò alla pessima sceneggiatura, improvvisando sul set, ma il risultato fu mediocre. Di notevole c’è la sequenza dei piloti che inviano le lettere ai loro cari, un modo per mostrare la variegata realtà etnica degli USA. 1° film a colori di Ray.
Una giovane donna coreana arriva a Parigi, ma non trova nessuno ad attenderla all’aeroporto. Prova a chiamare l’uomo che veniva a visitare, ma il numero non è attivo. Si reca all’abitazione di costui, solo per scoprire che il connazionale è partito per Venezia. La ragazza prende quindi il treno per l’Italia. Durante la notte, una misteriosa presenza che veste una maschera a gas si manifesta nel suo compartimento. Inizia un inquietante gioco di fughe e rincorse tra la donna e l’arcana figura.
Da un racconto di Ladislas Bus-Fekete. A Parigi, occupata dai tedeschi, una disegnatrice di moda (J. Crawford) egoista e un po’ snob si rende conto che intorno a lei il mondo è cambiato. Lascia il moroso filonazista (P. Dorn) e aiuta a fuggire un pilota americano (J. Wayne, naturalmente!). Melodramma di propaganda targato M-G-M che tenta invano di essere insieme uno sventolabandiere e un ritratto di donna.
Un film di Jack Hill. Con Pam Grier, Brooker Bradshow, Robert Doqui, Bill ElliottDrammatico, durata 91 min. – USA 1973. MYMONETRO Coffy valutazione media: 2,00 su 1 recensione. Coffy, infermiera in una clinica, scopre che la giovanissima sorella è una drogata ormai irrecuperabile. Decide di vendicarla. Riesce a introdursi nel mondo degli spacciatori e a ucciderne i vari componenti, tra i quali il suo ex fidanzato.
Un film di Leni Riefenstahl. Con Leni Riefenstahl, Mathias Wieman, Max Holboer, Beni Führer, Franz Maldacea Titolo originale Das blaue Licht. Drammatico, b/n durata 84′ min. – Germania 1932. MYMONETRO La bella maledetta valutazione media: 2,25 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Soltanto la bella e selvaggia Junta, tenuta per strega dai valligiani, riesce a scalare una montagna da dove, nelle notti di luna piena, emana una misteriosa luce blu. Girato sulle Dolomiti del Brenta e sui monti del Canton Ticino, opera prima dell’attrice L. Riefenstahl, ha un indubbio fascino visivo, una sorta di magia fantastica cui non è estranea la lezione del cinema espressionista. Legato all’ideologia völkisch (popolare) e al suo dubbio misticismo nazionalistico, è di un’ingenuità enfatica che sfiora il ridicolo. Alla sceneggiatura, da un racconto di Gustav Renker, collaborò Béla Balász, scrittore e teorico del cinema; al montaggio Arnold Fanck, noto regista di film di montagna.
Rosa, infermiera a Rio de Janeiro, ha sette amanti ai quali è equamente legata. Quando uno di questi, il barista italiano, comincia a dimostrarsi eccessivamente geloso, lo lascia. La donna inizia poi un rapporto con un dottore, anch’esso italiano (Manfredi), che, con discorsi persuasivi, le dà un certo equilibrio. Ma le successive incertezze del dottore la risospingono gradatamente al suo precedente sistema di vita.
I soldati a guardia di una miniera sono stati decimati da un’epidemia. Su un treno che dovrebbe contenere medicinali viaggiano invece le armi destinate agli indiani. Un agente del servizio segreto non può impedire alcune morti misteriose;
Turi e Teresa sono figli di un pescatore che vive e lavora in un’isola siciliana. La loro è una vita semplice e pacifica, fatta di abitudini e fatiche quotidiane: accudire la nonna, pescare, gestire il bar al centro del paese. Ma Turi, ormai, è quasi un uomo e deve iniziare ad uscire in mare con il padre. Questo fatto finirà con il rivoluzionare per sempre i rapporti tra fratello e sorella. Lungometraggio d’esordio di Costanza Quatriglio, trentenne palermitana la quale non dimentica le sue origini documentaristiche e le innerva con una narrazione che sembra rimandare al cinema di matrice iraniana. La trama è molto esile e il film è legato a un lavoro di ricerca di sguardi e relazioni con la scabra struttura dell’isola di Favignana. Il montaggio, perfettamente sintonizzato con la colonna sonora musicale di Paolo Fresu, prova a fornire compattezza a un’opera prima che, pur con qualche intellettualismo di troppo (vedi la presunzione di poter pensare di fare a meno di una struttura narrativa solida), lascia ben sperare per il futuro.
Due ladruncoli scalcagnati, con tre amici e due ragazze organizzano un grosso colpo. Per difficoltà tecniche affidano il furto a un professionista che dovrebbe poi essere derubato da loro. Ma non tutto va come dovrebbe. È un film a risvolti caricatural-umoristici di gusto francese, di spirito sottile e intelligente, pieno di trovate. L’ottimo cast di caratteristi contribuisce al divertimento.
Un sicario (Hopper) deve eliminare un’artista concettuale (Foster), testimone scomoda di un delitto mafioso, ma se ne innamora. Peripezie mirabolanti li portano in Nuova Zelanda. A causa di dissensi nella postproduzione, il film fu distribuito col nome di Alan Smithee, regista inesistente che però ha firmato una ventina di film americani, tutti contrassegnati da forti contrasti produttivi. Col piede sull’acceleratore dell’eccesso, Hopper pratica la contaminazione parodica dei generi. Sconsigliabile agli spettatori che amano la logica narrativa, interessante per chi ha qualche dimestichezza con le ultime correnti delle arti figurative made in USA. Nel 1991, ripristinata col nome di Hopper l’edizione originale di 116 minuti, il film fu rititolato (Catchfire) e ridistribuito negli USA sulla TV cavo e in home video.
Intricato fumettone: narra le malefatte di un banchiere che prima viene creduto morto, poi è sequestrato da un misterioso vendicatore che intende fargli scontare le sue colpe.
Milena è affascinata da Paul che le dichiara di averla amata in una vita precedente. Egli la conduce nella sua lussuosa casa londinese dove ritornerà spesso. Paul viene accusato dell’omicidio di una sua innamorata, Milena si sposa e torna nel Galles.
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