Due ragazzini naufragano in un’isola del Pacifico. Riescono a sopravvivere, crescono. Lui comincia a sentire qualcosa per lei, lei per lui. Anche privi d’educazione sessuale, riusciranno a dare risposta agli interrogativi. Avranno anche un figlio. Poi una nave riesce a trovarli. Grosso successo commerciale (dovuto più che altro alle esibizioni dei giovani protagonisti in costume adamitico).
Lui è un asso della finanza USA, lei è un’attrice famosa, quasi altrettanto ricca. S’incontrano a Londra e si amano. Lui le dimostra il suo amore con regalucci: un panfilo, quadri d’autore, braccialetti di diamanti. Stonatura: lei vorrebbe sposarlo, lui non può, è già sposato, ma mente. Quando lei lo scopre si arrabbia. Tutto finisce in gloria nuziale. Scritta da Norman Krasna, adattando la sua commedia Kind Sir che nel 1953 fu un fiasco a Broadway. È un’attardata commedia sofisticata, sessualmente spregiudicata solo nei dialoghi. Vi incombe la noia con tanta premeditata misura. Così elegante nella sua superficialità da diventare interessante. La Bergman nella sua 1ª commedia hollywoodiana è bravissima, Grant impeccabile. Nessun altro attore come lui.
Un film di John Huston. Con Robert Mitchum, Deborah Kerr Titolo originale Heaven Knows, Mr. Hallison. Avventura, Ratings: Kids+16, b/n durata 107′ min. – USA 1957. MYMONETRO L’anima e la carne valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Rimasti soli su un’isoletta durante la 2ª guerra mondiale, rude marine e gentile suora resistono al clima, ai giapponesi ma soprattutto alle tentazioni dell’amore. Umorismo ben mescolato alla tenerezza in un clima di sterilizzata audacia erotica. Bella coppia. C’è uno spogliarello “teologico”. Tratta da un romanzo di Charles Shaw, la sceneggiatura di John Lee Mahin, ritoccata dal regista, ebbe una candidatura all’Oscar come la Kerr.
Durante un soggiorno in un albergo vicino Chicago, Richard Collier, commediografo in crisi di ispirazione, crede di riconoscere nella fotografia dell’attrice Elise McKenna, diva degli anni ’10, l’anziana signora che 8 anni prima, agli esordi della carriera, gli aveva donato un orologio augurandogli un avvenire di successo. Sfogliando i vecchi registri dell’hotel, Collier scopre, in una pagina del 1912, accanto al nome della donna anche il suo. Irretito dal mistero, Collier, per mezzo dell’autoipnosi, lascia vagare la propria coscienza nel tempo fino a ritrovarsi in un impossibile passato in compagnia di Elisa per rivivere con lei una intensa storia d’amore e quando i due devono separarsi lui le fa dono di un orologio…Ridestatosi nel presente, Collier non sa più evadere da una profonda malinconia: il ricordo della donna è più che mai vivo e la sola speranza che gli resta per incontrarla di nuovo è abbandonarsi alla morte. L’incisione sulla cassa di un orologio: “Come back to me”… La sensazione di riconoscere in un viso il volto di un’altra… L’assurdo accostamento di due nomi lontani 70 anni l’uno dall’altro… La convinzione di vivere in un passato… Lo stesso orologio che passa di mano in mano e il tintinnio di una moneta del 1980 che fa svanire un sogno fin troppo simile ad una realtà… Gli elementi per un film di successo – e per una interessante divagazione in chiave intimistica sul tema del viaggio nel tempo (con un probabile riferimento formale al classico Il ritratto di Jennie) – ci sono tutti.C’è, soprattutto, una bella sceneggiatura tratta da un intrigante romanzo di Matheson. Ma, si sa, una cosa è il romanzo, un’altra il suo adattamento cinematografico… Nonostante le buone intenzioni (la cura nella ricostruzione d’ambiente, il taglio delle inquadrature, l’uso delle ombre e del colore pastoso), l’eccessiva componente sentimentalistica e l’interpretazione non molto convincente di Christopher Reeve non liberano il film dalla patina del preziosismo formale. Apprezzato più in America che in Italia.
Un film di Richard Thorpe. Con Elvis Presley, Mickey Shaughnessy, Judy Tyler Titolo originale Jailhouse Rock. Musical, Ratings: Kids+16, durata 96 min. – USA 1957. MYMONETRO Il delinquente del rock’n’roll valutazione media: 2,50 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Elvis Presley, mito non dimenticato degli anni Cinquanta, è un cantante che, uscito di prigione, diventa famoso grazie alla bella Peggy. Il successo rapido e il denaro lo inebriano a tal punto che dimentica Peggy e il vecchio amico di prigione Dick. In un diverbio tra i due amici, il famoso cantante rimane ferito alla gola. Sembra la fine, ma Peggy e Dick lo aiutano a ristabilirsi e a cambiar vita.
Storia molto romanzata e all’acqua di rose di Elisabetta di Baviera, sposa nemmeno troppo felice, e anzi destinata a tragica fine, dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Qui invece Sissi è felicissima di sposare il giovane Franz che la viene a corteggiare sulle montagne bavaresi.
T.R. Baskin è una ragazza di provincia che viene a lavorare in città, ansiosa di ambienti e rapporti nuovi. Rimedia solo delusioni, incontri balordi con uomini sposati che si lasciano ingannare dal suo aspetto di bionda mangiatrice di uomini. Sta per mollare tutto e tornarsene a casa, ma supera la crisi. Rimarrà e un giorno farà l’incontro giusto.
Purtroppo non ho trovato versioni in italiano, ci sono su Emule ma non scendono
Mickey è un arbitro di basket. Deve portare in Francia il cadavere del padre e, per un contrattempo, fa la conoscenza di un’addetta al servizio reclami della compagnia aerea. Lei, Ellen, è americana come lui. I due si conoscono, si amano, lei lascia il marito e torna in America. Ma la vita di coppia crea più di un problema ed esige numerose rinunce. Tutta la loro vicenda viene narrata al tavolo di un ristorante in attesa che i due arrivino. Film di indubbio successo al botteghino, Forget Paris vede Billy Crystal nei panni del factotum come già in passato. Peccato che ora uno dei suoi occhi guardi verso Woody Allen. Lo strabismo diventa inevitabile. La comicità di Crystal è di tutt’altra grana e si sente. Nella memoria restano soprattutto le partite di basket riprese con grande senso dell’azione. Non trattandosi però di un film sul mondo dello sport, è un po’ poco. Di Harry ti presento Sally, poi, ce n’era già stato uno.
Shun Li confeziona quaranta camicie al giorno per pagare il debito e i documenti che le permetteranno di riabbracciare suo figlio. Impiegata presso un laboratorio tessile, viene trasferita dalla periferia di Roma a Chioggia, città lagunare sospesa tra Venezia e Ferrara. Barista dell’osteria ‘Paradiso’, Shun Li impara l’italiano e gli italiani. Malinconica e piena di grazia trova amicizia e solidarietà in Bepi, un pescatore slavo da trent’anni a bagno nella Laguna. Poeta e gentiluomo, Bepi èprofondamente commosso dalla sensibilità della donna di cui avverte lo struggimento per quel figlio e quella sua terra lontana. La loro intesa non sfugge agli sguardi limitati della provincia e delle rispettive comunità, mettendo bruscamente fine alla sentimentale corrispondenza. Separati loro malgrado, troveranno diversi destini ma parleranno per sempre la stessa lingua. Quella dell’amore. Per quelli che ‘fanno il cinema a Roma’ e per cui un veneziano vale un triestino, il Veneto è un set popolato da improbabili abitanti che si limita a fare da sfondo a storie italiane altrettanto improbabili. Serviva evidentemente un po’ di sangue di quella terra per raccontarne la sorprendente bellezza e per far crescere un film preciso nell’ambientazione e credibile nelle emozioni lambite ‘ogni sei ore’ dalla Laguna. Partendo da un luogo esistente, ‘provocato’, smontato e ricomposto attraverso l’osservazione soggettiva di un’immigrata, Andrea Segre lo mostra nelle concrete trasformazioni stagionali e nelle più sottili conversioni sociali. Contro gli stranieri impersonali e posticci di Patierno e le sue ‘cose dell’altro mondo’, il documentarista veneto ribadisce quelle di questo mondo e di questa Italia in rapporto dialettico, ostile o conciliato, con l’altro da sé. Un altro che è persona e mai personaggio. Io sono Li è un’architettura delle posizioni relative tra le figure in campo, al cui centro si colloca la protagonista di Zhao Tao, centrata in ogni dove e concentrata su un proponimento che ha il volto di un bambino di otto anni. Come satelliti le gravitano intorno pescatori cauti e imprenditori (cinesi) rapaci che non la spostano da ‘Li’, che è insieme identità, punto, momento e baricentro. Dopo i documentari (Magari le cose cambiano, Il sangue verde, La Mal’ombra, Come un uomo sulla terra) e congiuntamente alla ricerca sociale, Segre debutta nel cinema a soggetto, sposando sentimenti affettivi e sociali con una limpidezza di esposizione che non riesce sempre a scongiurare l’inciampo didascalico. Di fatto, pur romanzando con sensibilità la realtà, il film non è in grado di rimettere in gioco la finzione con la verità, incorrendo troppe volte in formule da dibattito. Meglio sarebbe stato lasciarsi cullare dalle perifrasi dei sentimenti, così magnificamente comprese nell’interpretazione implosa di Zhao Tao e in quella lirica di Rade Šerbedžija. Portatore sano della condizione umana di straniero lui, portatrice pudica lei del cinema poetico e reale di Zhangke, del cambiamento epocale della Cina e dell’incanto a cui rinuncia per cambiare anima.
Nel diciannovesimo secolo, in un villaggio estone popolato di creature soprannaturali, una giovane contadina si innamora di un ragazzo, che però sogna la figlia di un nobile. Entrambi cercano di usare poteri mitici per conquistare l’oggetto del loro amore.
A Tokio, durante le Olimpiadi del ’64, Cristina, ragazza inglese, e Steve, giovane atleta americano, si conoscono, si innamorano, si sposano con l’aiuto di Sir William Rutland, ricco industriale inglese giunto in Giappone per affari. Intrattenimento arguto e di buon gusto firmato da un regista di successo.
Quando Lucy Honeychurch e sua cugina Charlotte si trovano nel loro albergo di Firenze con delle stanze senza la vista sull’Arno promessa, i signori Emerson, padre e figlio, intervengono ed offrono le loro camere. Per Lucy, che in Inghilterra ha un fidanzato ad attenderla, questo incontro non rimarrà senza conseguenze.
Lei è nubile, lui celibe, ma entrambi fanno vita di coppia. Nella realtà sono professionalmente rivali e nei loro scontri ciascuno dei due cava il peggio dell’altro, ma su Internet corrispondono romanticamente tra loro sotto pseudonimo. Scritto dalla regista con la sorella Delia con cui aveva già collaborato in Michael (1996), è il 2° rifacimento del delizioso Scrivimi fermo posta (1940) di E. Lubitsch. A dirne la qualità basterebbe dire che è imperniato sull’inaugurazione di un grande bookstore che provoca il fallimento di una piccola libreria per bambini che, in omaggio a Lubitsch, si chiama The Shop Around the Corner. Ma il tema centrale (l’opposizione tra vita e sogno) è svolto con precisione di particolari e sapiente leggerezza nel rimando, nell’attesa, nella ripetizione. E c’è una New York (West Side) autunnale come soltanto Woody Allen sapeva filmarla. Non importa che date le premesse, il traguardo sia scontato: come gli autori, lo spettatore non ha fretta di arrivarci. Conta il percorso, non la meta. Come in Insonnia d’amore, M. Ryan smagrita è di una spanna sopra all’improsciuttito T. Hanks.
Persi sulle montagne di Scozia, due giovani trovano un villaggio che un incantesimo fa apparire un giorno ogni cento anni. Una commedia fantastico-sentimentale basata su un copione teatrale di Alan J. Lerner e raccontata con garbo e delicatezza. Belli coreografie, costumi e scene, appropriate le musiche, bravi gli interpreti.
Tina ha un fisico massiccio e un naso eccezionale per fiutare le emozioni degli altri. Impiegata alla dogana è infallibile con sostanze e sentimenti illeciti. Viaggiatore dopo viaggiatore, avverte la loro paura, la vergogna, la colpa. Tina sente tutto e non si sbaglia mai. Almeno fino al giorno in cui Vore non attraversa la frontiera e sposta i confini della sua conoscenza più in là. Vore sfugge al suo fiuto ed esercita su di lei un potere di attrazione che non riesce a comprendere. Sullo sfondo di un’inchiesta criminale, Tina lascia i freni e si abbandona a una relazione selvaggia che le rivela presto la sua vera natura. Uno choc esistenziale il suo che la costringerà a scegliere tra integrazione o esclusione.
Anno 1919: la giovane e ricca ereditiera Eve Tozer rischia di perdere tutti i suoi beni se non ritrova entro dodici giorni suo padre, del quale non ha più notizie da tre anni. Uno dei soci in affari di suo padre, infatti, vuole far dichiarare la sua morte presunta, così tutto il patrimonio entrerà in suo possesso. Eve cerca un ex asso dell’aviazione della guerra del ’15-’18 e con un paio d’aerei piuttosto malconci, uno pilotato da lei e l’altro dall’aviatore, si lancia sulle tracce del padre…
Una bella vedova torna dall’America al paese natio. Molti uomini la corteggiano, ma lei sposerà proprio l’unico che le ha sempre dimostrato indifferenza e che si è accorto, quando sta per perderla, di esserne innamorato.
Due ragazze vanno a preparare un esame universitario nella casa di campagna di una di esse. È atteso anche un amico di entrambe. Lui non arriva e le due cominciano a litigare (sono entrambe innamorate dell’assente). Litigano finché non arriva una terza ragazza che si rivela come la fidanzata (vera, non presunta) del giovanotto.
Wuxiapian è un termine che ultimamente sta tornando di moda e dopo aver visto La Foresta dei Pugnali che Volano non si fatica certo a capirne il motivo. Zhang Yimou, dopo il superbo Hero, propone un’altra opera sospesa nel tempo e avvolta in un impalpabile velo di poesia. Siamo nell’859 D.C., la dinastia regnante dei Tang è in declino. Numerosi gruppi rivoluzionari caldeggiano nell’oscurità la caduta delle forze imperiali, ritenute responsabili per la decadenza morale che affligge il paese. Una danzatrice cieca è sospettata di appartenere al pericoloso clan chiamato “la casa dei pugnali volanti”: due ufficiali dell’esercito tenteranno di far uscire allo scoperto gli alti vertici della fazione fuorilegge usando la ragazza come esca, ma l’amore giocherà loro dei brutti scherzi
Qiang è un bambino di 4 anni che, nella Cina Popolare del 1949, viene portato in un Istituto pechinese dei migliori dai genitori troppo impegnati nel lavoro. Qiang deve confrontarsi con la vita della collettività, regolata in modo per lui troppo rigido dalle educatrici. Dalla fase del pianto sconsolato passa ben presto a quella della disobbedienza attiva supportato in questo da una coetanea. Quando riuscirà a convincere tutti i compagni che la loro insegnante non è altri che un mostro sotto le sembianze di una donna la situazione si complica. Il regista Zhang Yuan torna ad occuparsi dei giovani ma questa volta il salto mortale è davvero senza rete perché si tratta di bambini molto piccoli e quindi, per definizione, difficilissimi da dirigere. Ma l’acrobazia riesce perfettamente perché la regia unisce la mano ferma alla disponibilità ad accettare l’improvvisazione infantile. Questo può avvenire anche grazie a una sceneggiatura ben scritta che favorisce due piani di lettura. Quello più immediatamente “ad altezza di bambino” (stavamo per scrivere “truffautiano” e con motivo) e quello sociale, se non addirittura politico. Qiang, con il carattere che si ritrova, con lo spirito ribelle che lo contraddistingue, quando diventerà un giovane uomo si troverà nel bel mezzo della Rivoluzione Culturale. Non è difficile pensarlo inviato in campagna a “rieducarsi”. Così come è facile pensarlo sicuramente vessato ma mai domo. Peccato che il film non sia in Concorso. Se lo meritava.
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