Quattro marinai di un cacciatorpediniere italiano, in libera uscita a Barcellona, si mettono nei guai in cerca di sottane. È il peggiore dei 4 film interpretati da U. Tognazzi nel 1958: una commediola militar-musicale che sfrutta fino all’inverosimile l’impianto rivistaiolo.
Nel paesino di Follainville un postino assiste ai preparativi della festa annuale, vi partecipa con zelo e vuole, imitando un documentario che ha visto, consegnare la posta “all’americana”. La formula è: 2/3 di comicità d’osservazione, 1/3 di farsa. Sonoro, ma non parlato (con dialoghi quasi inaudibili perché registrati in presa diretta; sostituiti in modo spurio nell’edizione italiana). 1° film lungo di Tati dopo il cortometraggio a colori L’école des facteurs (1947) sullo stesso tema. Proiettato a Parigi per la prima volta l’11 maggio 1949, rivelò la nascita del secondo grande comico francese dopo Max Linder. Una delizia per spettatori di tutte le età. Girato a colori (col sistema sperimentale Thomsoncolor), ma distribuito in un bianco e nero virato, è stato riproposto nel 1994 nella versione originale.
Un tranquillo impiegato di famiglia (Wilder) vede la sua vita sconvolta dall’incontro con una misteriosa e bellissima “signora in rosso” (Kelly LeBrock). Ha quindi l’occasione per la sua prima infedeltà coniugale, ma goffo e inesperto com’è riesce solo a ficcarsi in un sacco di guai. Si tratta di un remake del film francese Certi piccolissimi peccati, riletto in chiave americana. Wilder, nella doppia veste di regista e protagonista, confeziona novanta minuti di deciso divertimento; la presenza della fotomodella mozzafiato Kelly LeBrock e le musiche di Stevie Wonder completano un prodotto di buon intrattenimento.
Un film di Frank Tashlin. Con Jill St John, Ray Walston, Jerry Lewis Titolo originale Who’s Minding the Store?. Comico, durata 90′ min. – USA 1963. MYMONETRO Dove vai sono guai valutazione media: 2,79 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Di mestiere accompagna i cani a passeggio, sentimentalmente è legato a una commessa che, in realtà, è ricchissima, ma lui non lo sa. È il settimo film di J. Lewis con la regia di Tashlin, e uno dei più squilibrati. Ma le sequenze buffe non mancano tra cui, buffissima, quella in cui Lewis cerca di vendere scarpe a una lottatrice. E i numeri di Tashlin, geniale coordinatore di disordini, non mancano: la macchina da scrivere, l’aspirapolvere, il golf.
Ennesima parodia demenziale sullo stile delle “pallottole” e degli hot shots. Ce la si prende, in questo caso, con Arma letale e si fa incetta di molte citazioni. Ci sono il poliziotto di colore e quello bianco alle prese con dei biscotti aromatizzati alla cocaina. Manca la verve e il ritmo della altre due “serie”. In piccole apparizioni ci sono Charlie Sheen, William Shatner e Whoopi Goldberg.
Il mondo ha riscoperto da tempo la canzone napoletana classica. Penso che adesso tocchi alla Macchietta e alla tradizione della canzone umoristica napoletana venir fuori e raccogliere cio’ che merita. Qualcuno può pensare che Si parli di generi minori. Sbaglierebbe.
La Macchietta contiene tutti gli ingredienti del miglior umorismo e poi affianca in maniera decorosissima la canzone napoletana. Questa antologia raccoglie, per la prima volta, proprio storia e testi della canzone umoristica e della Macchietta. Quelle delle origini, e dunque del passato, e quelle che via via ci hanno condotto fino al presente.
Quattro ragazzi danno una mano ad un negoziante che teme il fallimento a causa dell’apertura di un supermercato vicino alla sua bottega. La buona volontà (e i furtarelli al concorrente) non bastano; il negoziante parte per impiantare altrove la sua attività, i quattro installano un’autofficina.
Un giovane nobile toscano nel 1832 scende al Sud in un viaggio-pellegrinaggio sugli itinerari italiani del suo idolo Goethe. Ma nelle campagne è in atto ancora la repressione da parte delle truppe borboniche dei rivoltosi giacobini. Il giovane, visti crollare a uno a uno i suoi ideali romantici, se ne andrà in America. Sergio Staino, noto disegnatore politico, al suo esordio nella regia di cinema, tenta la satira in costume sulla traccia del bel successo di Domaniaccadrà,diretto da Lucchetti un anno prima. Ma invece del conte philosophique alla Voltaire, abbiamo solo un piacevole acquarello.
Purtroppo è una versione di scarsa qualità ma è l’unica che ho trovato in rete
Un film di Larry Charles. Con Sacha Baron Cohen, Pamela Anderson, Ken Davitian Titolo originale Borat: Cultural Learnings of America For Make Benefit Glorious Nation of Kazakhstan. Commedia, durata 84 min. – USA 2006. – 20th Century Fox uscita venerdì 2marzo 2007. – VM 14 – MYMONETRO Borat – Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan valutazione media: 2,33 su 231 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Irriverente, sovversivo, oltraggioso. Borat Sagdiyev è un reporter kazako in viaggio negli Stati Uniti d’America per girare un documentario che riprenda le usanze e i costumi del nuovo mondo, per poi riportare la preziosa e fedele testimonianza al suo paese. Misogino, antisemita e razzista, semina il panico e lascia il segno a ogni suo passaggio, scardinando di volta in volta le certezze e le ipocrisie di una cultura carica di pregiudizi e oscenità. Dal creatore di Ali G., Sacha Baron Cohen, un film che promette di far ridere a crepapelle dall’inizio alla fine della pellicola. Su un carrettino di gelati, insieme al suo goffo collega, Borat viaggia in lungo e in largo negli States alla ricerca di qualcuno che gli indichi le buone maniere, lo stare in società, ma soprattutto la strada per raggiungere il suo obiettivo unico e solo: incontrare l’eroina del suo telefilm preferito.
Due tra le più riuscite gag del grande attore romano scomparso nel 1936, Nerone e Medico per forza, vengono riproposti in questo spaccato artistico del comico dall’ironia tagliente e provocatoria.
Dopo Pieraccioni e Ceccherini, anche Alessandro Paci si aggiunge alla galleria di nuovi comici toscani che debuttano alla regia. Lo fa indossando anche i panni del protagonista Samuele, bravo ragazzo che lavora come cameriere e nel tempo libero fa il volontario come assistente agli anziani. La sua vita scorre tranquilla finchè non scopre di aver ereditato cinque miliardi. E si ha un bel dire che i soldi non sono tutto nella vita… Il pieraccionismo malattia infantile della commedia all’italiana? Non sempre, chè qualche titolo discreto la nidiata toscana l’ha anche sfornato. Ma qui si vola davvero basso. Se la regia è infatti totalmente inadeguata (non c’è una sola gag visiva in un’ora e mezza di film), la sceneggiatura tira allo spasimo l’idea non proprio nuovissima del “povero ricco” con la pretesa – malposta -di fare anche un sermoncino sull’importanza degli affetti veri rispetto al denaro corruttore. Il risultato finale è che non si ride mai: non proprio un titolo di merito per un film che vorrebbe essere comico. Disastrosi,sebbene fotogenici, gli interpreti.
Stanlio è chiamato in Scozia per ricevere l’eredità del vecchio zio McLaurel che si rivela non essere altro che una cornamusa e una scatola di tabacco. Assieme all’inseparabile Ollio è costretto ad arruolarsi nell’esercito che spedisce i due in India. Senza volerlo porteranno a termine un’eroica missione.
Giandomenico Fracchia è un personaggio televisivo e cinematografico ideato e interpretato da Paolo Villaggio. Apparve per la prima volta nel programma Quelli della domenica nel 1968, ed è una delle tre principali maschere comiche di Villaggio assieme al professor Kranz e a Ugo Fantozzi.
I mostri (The Munsters) è una situation comedy brillante con elementi horror prodotta negli Stati Uniti e andata in onda per la prima volta dal 24 settembre 1964 sul network statunitense CBS
I protagonisti della serie televisiva sono una famiglia di mostri che vive in un sinistro maniero come una qualsiasi famiglia americana. I membri di questa bizzarra famiglia sono il padre Herman, una sorta di mostro di Frankenstein che fa sentire la sua forza così come impone l’ordine nella casa; la madre Lily, una specie di vampira ricalcata sul modello della famosa Bride of Frankenstein; il nonno, un vampiro vestito nella “classica” tenuta resa famosa da Bela Lugosi; il figlio Eddie Wolfgang, lupo mannaro, e la nipote Marilyn, l’unica ragazza “normale” della famiglia in tutti i sensi.
Franco e Ciccio sono a New York e, per caso, salvano la vita ad Attanasia, capo della malavita locale. Per ricompensa, il boss decide di far diventare Franco un grande pugile (e Ciccio il suo “secondo”). Franco vince molti incontri truccati e poi, per sbaglio, anche quello che doveva perdere. Attanasia, che aveva scommesso sulla sconfitta di Franco, viene ucciso da un altro gangster. I nostri due eroi andranno in galera.
Il film si articola su quattro storie ambientate nella Versilia di fine stagione. Nella prima un bambino di nome Simone si innamora di una ragazza e si allontana dalla colonia per seguirla. Nella seconda un sindaco conservatore si scontra con il figlio di tutt’altre idee e comportamenti. Nella terza l’ubriacone del paese viene fatto oggetto di uno scherzo decisamente pesante facendogli trovare in una bara un morto al posto del vino che lui pensava vi fosse contenuto. Nella quarta un bagnino di buon cuore salva dal fallimento la proprietaria del “Bagnomaria”. In attesa dei più che buoni ascolti televisivi, Panariello si cuce addosso un film di serie B che non va al di là di una serie di sketch. È quello che fanno da (quasi) sempre i Vanzina.
Peppino è sposato da 10 anni con Amalia quando arriva Antonio, primo marito di lei, disperso in Russia. Liti a non finire. Totò e Peppino si contendono l’amore (e il letto) di N. Gray, come primo e secondo marito. La sceneggiatura di Continenza e Steno è un po’ scarsa, ma i due comici rimediano con i loro lazzi.
Un povero travet di banca trova una maschera che lo trasforma in un eroe imprendibile e invulnerabile in grado di combattere la criminalità organizzata che domina su Edge City. Derivato dal personaggio del fumetto creato nel 1982 da Mike Richardson e sorretto dagli effetti della Industrial Light & Magic, garantisce 100 minuti di spasso continuo, invenzioni gustose, effetti speciali che colpiscono il bersaglio. La carta vincente è Carrey, straordinario per mimica, dinamismo, eleganza, varietà di registro recitativo. Accorta sceneggiatura, invenzioni originali, regia fluida e persino una morale sui problemi dell’identità. Il regista lo firmò col nome di Charles Russell. 1° film della 22enne Diaz.
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