Un ex marine, reduce dal Vietnam, fa il tassista di notte e ne vede di tutti i colori in una New York lercia e violenta. Scritto da Paul Schrader, è un compendio del realismo violento degli anni ’70 di cui riprende, trasfigurandolo, il tema del giustiziere privato. Può essere letto come una parafrasi urbana di Sentieri selvaggi (1956) di John Ford. De Niro è eccellente nel rendere l’ambigua schizofrenia di Travis. Ultima colonna musicale di Bernard Herrmann, musicista preferito di Alfred Hitchcock, e funzionale fotografia di Michael Chapman. Palma d’oro a Cannes per il miglior film.
Il film è composto da 6 capitoli: Gli anni della cenere , Gli anni della brace , Gli anni del fuoco , L’anno del carro , L’anno della carica e L’ anno della carica.
La storia del film inizia nel 1939 e finisce il11 novembre 1954e, attraverso parametri storici, dimostra che il1 novembre 1954, Il giorno rosso di Ognissanti (data di scoppio della guerra d’Algeria ) non è un incidente della storia, ma il culmine di un lungo processo, di sofferenze, di battaglie prima politiche e poi militari, che hanno impegnato il popolo algerino contro il fatto compiuto quella fu la colonizzazione francese che iniziò con lo sbarco a Sidi-Ferruch in poi14 giugno 1830.
Specialista in intercettazioni, che ha sempre vissuto immerso nel lavoro, scopre di avere una coscienza, di essere responsabile di quello che fa, di essere prima complice e poi vittima. Palma d’oro a Cannes e designato agli Oscar (film, regia), è un thriller che anticipa i tempi (Watergate) e le mode, rimanda al cinema di Antonioni (fotografia funzionale di Bill Butler), ma anche agli incubi allucinati di un Kafka tecnologicamente aggiornato. Uno dei migliori film USA degli anni ’70 con un G. Hackman perfetto come antieroe dell’era elettronica. Apparizione non accreditata di Robert Duvall.
Unendo con rigore cronaca, ricostruzione documentaria e libera rievocazione, attraverso l’utilizzo di una pluralità di fonti e punti di vista (interviste, reportage, diapositive, intervenendo talvolta in prima persona per la formulazione di domande contestuali alla realizzazione del film) Francesco Rosi realizza con notevole efficacia il ritratto di Enrico Mattei ” l’italiano più potente dopo Giulio Cesare”. Il caso Mattei è un thriller politico, dal linguaggio cinematografico anticonvenzionale e dall’originale sobrietà di stile che raggiunge lo spettatore non solo emotivamente ma soprattutto lo coinvolge nella ricerca di nessi segreti e nascosti del potere costringendolo a intraprendere un cammino di presa di coscienza. E’ l’impegno civile, il distacco critico, l’indagine sull’accertamento dei fatti e l’interrogazione sulle loro cause di un “condottiero” (così Fellini definiva Rosi) capace di rendere concreta per immagini una speculazione astratta attraverso la regia, rendendoci partecipi della sua indignazione morale e costante ricerca intellettuale. Rosi facendo sua una suggestione che era stata dei neorealisti si occupa di temi di immediata attualità dove lo sguardo sui personaggi funziona da rivelatore della complessità storica e politica. Trattasi di cinema tutt’altro che ideologico ma in continua osservazione e ridefinizione, un cinema che offre uno scorcio eloquente della politica italiana del dopoguerra, di un’Italia dei risultati ma anche degli errori e delle contraddizioni. Sono gli anni del radicamento sociale dei partiti che si identificano nella rappresentanza popolare ma anche nei meccanismi clientelari. Nel 1953 nasce l’Eni (a cavallo appunto tra impresa pubblica e politica) grazie alle capacità di Mattei a cui era stato affidato il compito di liquidare l’Agip, una società statale istituita dal regime fascista e che Mattei amplia e riorganizza in Eni. Personaggio ambiguo e controverso, la cui influenza politica e i cui ambivalenti rapporti con la Democrazia Cristiana ne manifestavano la complessità e l’impossibilità di una sintesi univoca della sua personalità. Sotto la sua direzione vengono negoziate importanti concessioni petrolifere in Medio Oriente e conclusi accordi commerciali “scomodi” con l’Unione Sovietica portando alla rottura dell’equilibrio stabilito dalle “sette sorelle” del petrolio. L’intreccio narrativo privo di una lineare concatenazione dei fatti traccia una rete di connessioni senza la pretesa di imporre verità assolute e senza dispensarsi dal sollevare dubbi sulla fine di Mattei (il bireattore personale su cui viaggiava il 27 ottobre 1962 precipitò nel cielo di Bescapè nei pressi di Milano), avanzando l’ipotesi, non di certo facile per quegli anni, di sabotaggio e di complotto. Tale tesi è accentuata dalla scomparsa in circostanze sospette nel 1970 del cronista Mauro De Mauro che avrebbe dovuto collaborare alla realizzazione del film ricostruendo le ultime ore di vita “dell’imprenditore di stato”. Palma d’oro a Cannes nel 1972 ex aequo con La classe operaia va in paradiso di Elio Petri.
Lulù Massa è un campione del cottimo con cui mantiene due famiglie, finché un incidente gli fa perdere un dito. Da ultracottimista passa a ultracontestatore, perde il posto e l’amante, si ritrova solo. Grazie a una vittoria del sindacato, è riassunto e torna alla catena di montaggio. Con qualche cedimento di gusto, più di una forzatura e rischiose impennate nel cielo dell’allegoria, è un aguzzo e satirico ritratto della condizione operaia e della sua alienazione. Scritto da Petri con Ugo Pirro, è il 1° film italiano che entra in fabbrica, analizzandone il sistema emettendone a fuoco con smania furibonda i vari aspetti, compresi i rapporti tra uomo e macchina, tra sindacato e nuova sinistra, tra contestazione studentesca e lotte operaie, repressione padronale e progresso tecnologico. Un Volonté memorabile, una bizzarra Melato, un incisivo Randone. Suscitò molte polemiche, anche e soprattutto a sinistra. Palma d’oro a Cannes ex aequo con Il caso Mattei.
Billy Massey fugge; lo sceriffo Charles Jarvis, amico di Billy e ansioso di salvarlo in qualche modo dalla forca, lo insegue. Rock Hudson e Dean Martin recitano magnificamente.
Dracula si trasferisce in Inghilterra e miete le prime vittime. A poco a poco i sospetti si accentrano su di lui ed egli torna precipitosamente in Ungheria, inseguito da due uomini che tenteranno di ucciderlo.
Metà documentario metà fiction. Sfilano davanti ai nostri occhi i bugiardi più famosi del mondo, dagli autori della biografia apocrifa di Howard Hughes al celebre falsario Elmyr de Ory.
In seguito alla misteriosa scomparsa di una ragazza, il sergente Howie arriva su un’isola remota per indagare, ma la comunità pastorale guidata dallo strano Lord Summerisle non è ciò che sembra.
Un film di Ken Russell. Con Robert Powell, Georgina Hale, Lee Montague, Richard Morant Titolo originale Mahler. Biografico, durata 115 min. – Gran Bretagna 1974. MYMONETRO La perdizione valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Il celebre musicista Gustav Mahler, reduce da una serie di concerti, torna dopo molto tempo a Vienna accompagnato dalla giovane moglie. La salute del compositore sta peggiorando e il matrimonio è in crisi. Durante il viaggio, Mahler ha orribili incubi, rivede il passato e vede il futuro (con la premonizione dell’avvento del nazismo). Alla fine il treno arriva a destinazione. I medici dicono a Mahler che ha solo poche settimane di vita.
Tornato dal servizio nel corpo militare di stato, Laci è costretto a vivere con la moglie operaia Irén e la figlioletta nell’angusto appartamento dei suoi genitori, in attesa che il piano alloggi gliene fornisca uno. Il padre di Laci mal sopporta la nuora, imputandole l’incapacità tanto di educare la bambina quanto di mettere da parti soldi per far fronte alle spese comuni. Le incomprensioni crescenti porteranno all’inevitabile frattura del nucleo famigliare. Prodotto dai Béla Balázs Studio, l’esordio nel lungometraggio del giovane Béla Tarr affronta una problematica di stretto carattere politico-sociale, com’è la carenza di case nel sistema comunista ungherese, mediante il linguaggio di un cinéma-vérité aggressivamente polifonico. A conferma dell’interesse pubblico di quanto si vedrà sullo schermo, ad aprire è una didascalia inequivocabile nella sua chiarezza: «È una storia vera, non è accaduta ai personaggi del nostro film, ma sarebbe potuta accadere anche a loro». L’effervescenza dell’impianto di un lavoro tanto fisico sta nell’impiego di attori non professionisti, nel suono in presa diretta, nella macchina a spalla orientata – come la lente di un microscopio – a focalizzare stralci di frasi, dialoghi sovrapposti, reazioni mimiche, spostamenti improvvisi dei corpi. Affine alle sperimentazioni di altre cinematografie, il primo metodo di Béla Tarr costituisce, invero, il punto d’incontro tra il vivo desiderio di ancorarsi alla realtà e la pochezza dei mezzi a disposizione, in un’intercambiabilità tra programma estetico e politico dove è già possibile scorgere quella deriva della condizione umana che sarà tema prediletto dei titoli maturi. Al di là del filtro di un “cassavetismo incolpevole”, allora Tarr non conosceva l’opera del cineasta americano, il dramma personale e ugualmente pubblico di Laci e Irén acquista sottigliezza psicologica caricandosi di credibilità ad ogni nuovo scontro-dialogo, fino alla resa dei conti delle due, splendide, confessioni finali in cui è palese il sapore schiacciante della sconfitta. Con un titolo che rimarca, per antifrasi, l’inferno della convivenza, Nido familiare costituisce, insieme a The Outsider, Rapporti prefabbricati e, in parte, Almanacco d’autunno, il periodo realista del regista prima della svolta stilistica segnata da Perdizione.
Palma d’oro al Festival di Cannes 1981. Marta, una giovane violinista polacca, forse figlia di un grande direttore d’orchestra, Jan Lasocki, emigrato a New York, sposa un modesto direttore, Adam, il quale riceve l’incarico di dirigere la Quinta Sinfonia di Beethoven per festeggiare il ritorno di Lasocki in patria. Ma Adam si innervosisce e combina disastri, abbandonando la direzione. È Lasocki allora a prendere in mano la bacchetta, conducendo gli orchestrali della modesta formazione di provincia ad un’esecuzione memorabile. Dopo la quale il maestro muore, mentre Marta lascia l’imbelle marito.
Ambientato al tempo delle guerre napoleoniche, mostra come le guerre hanno travolto lo sfortunato paese polacco all’inizio del XIX secolo. La storia ruota attorno alla legione polacca sotto il comando del generale Dabrowski, che poi combatté al fianco di Napoleone con la speranza della rinascita della Polonia.
Con sei statuette, alla cerimonia di premiazione degli Orly, i premi al cinema polacco, tra le quali quelle per il miglior film, regia, sceneggiatura e attore (Marian Dziedziel), il regista, classe 1963, si impone come uno dei più promettenti della sua generazione. Prodotto da Grupa Filmowa e coprodotto da Telewizja Polska, Filmi It e Agencja Produkcji Filmowej, Wesele racconta la storia di una disastrosa giornata di nozze. Il padre della sposa tenta di impressionare gli invitati in ogni modo, ma la sua organizzazione fa acqua da tutte le parti.
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Per rifarsi una vita, le madri di due giovani condannati a morte aprono a Hollywood nel 1934 una scuola di danza. Una s’innamora di un ricco vedovo, l’altra dà segni di grave squilibrio psichico. Scritto e sceneggiato da Henry Farrell _ autore del racconto da cui fu tratto Che fine ha fatto Baby Jane? (1962) di Robert Aldrich _ è uno psicodramma trucido e grottesco con 2 protagoniste in gara di bravura e con interessanti note sulla Hollywood degli anni ’30.
Divertentissimo fumettone scanzonato che non si prende un minuto sul serio e straripa delle migliori pin up.Meyer(che cura anche il forsennato montaggio e appare brevemente come direttore del motel)tratta il sesso in chiave parossistica, come pure la violenza(l’estenuante duello finale a dinamite)e racconta le impossibili avventure di un macho dall’aria tonta con piglio allegramente spudorato
Dopo la strana morte di un’amica, chirurgo in sottana decide di indagare sull’ospedale in cui è avvenuto il decesso. Sospetta che molti pazienti vengano deliberatamente mantenuti in coma per essere usati per il trapianto degli organi. Molti guai. Dal romanzo di Robin Cook, sceneggiato da Crichton, un giallo fantamedico di un realismo accentuato che tiene lo spettatore inchiodato alla poltrona fino all’ultimo minuto. Brevi apparizioni di Tom Selleck ed Ed Harris.
Dopo la morte del secondo marito, cantante italoamericana parte da New York per l’Italia col figlio adolescente Joe, quasi alla ricerca delle proprie radici, cercando vanamente di proporle a Joe perché ci si aggrappi. A Roma scopre che il ragazzo si droga e, nel disperato tentativo di recuperarlo, ha con lui un rapporto incestuoso. Incontro finale col padre del ragazzo. Film sul rapporto madre-figlio e sulla pulsione incestuosa che ne è il sottofondo fantastico, è fondato sul tema della mancanza (della figura paterna, ma anche materna, dunque dell’amore) e sul giuoco di specchi tra realtà e finzione, vita e spettacolo nelle forme del melodramma lirico (G. Verdi). La sua tessitura melodrammatica, che sfocia nell’appassionata conclusione di canto spiegato, ha il suo contrappunto in una corposa dimensione umoristica e ironica cui, forse, hanno contribuito Clare Peploe in sceneggiatura e J. Clayburgh, attrice di commedia. I suoi difetti sono per eccesso: sconfinamenti, fratture, accensioni liriche, sperperi romantici, rimandi simbolici troppo ostentati. Edizione originale bilingue. Dedicato a Franco (Kim) Arcalli, collaboratore e montatore del regista, morto nel 1978.
Tre ragazze che hanno lasciato la campagna da vent’anni per cercare fortuna a Mosca affrontano il bilancio della propria vita: l’amore, la carriera, i figli, tra speranze, successi e delusioni. Piacevole sorpresa della cinematografia sovietica, il film fa leva su situazioni universali, immerse in una realtà moscovita qui coraggiosamente trattata in modo non sempre conforme alle censure generalmente imposte dal regime.
Jean-Jacques Annaud, il regista de Il nome della rosa, si fece clamorosamente notare alla metà degli anni Settanta, con questo denso, beffardo apologo sul colonialismo francese (che ottenne l’Oscar 1978 per il miglior film straniero). Protagonisti sono i militari di una piccola guarnigione, che allo scoppio della prima guerra mondiale devono dar battaglia ai soldati tedeschi divenuti improvvisamente nemici.
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