Fratello degenere di Ridley, Tony, pur con il suo manierismo inossidabile, ha sempre la risposta del pubblico, che ha ciò che vuole. In questo caso un Tom Cruise tutto sorrisi. Di trovata in trovata si arriva all’amore e alla vittoria in una corsa automobilistica. Ma Tom Cruise non è Steve McQueen e Tony Scott non è un regista d’attori. Successo di pubblico.
I dieci comandamenti è stato uno spettacolo televisivo ideato e condotto da Roberto Benigni, andato in scena dal Palastudio di Cinecittà su Rai 1, trasmesso in onda in diretta il 15 e 16 dicembre 2014 e riproposto in replica su Rai 5 il 25 dicembre successivo. È dedicato alla lettura dei dieci comandamenti, con l’obiettivo di riuscire a spiegare in maniera chiara e semplice il significato delle tavole che, secondo la Bibbia, Dio diede a Mosè.
Un povero travet di banca trova una maschera che lo trasforma in un eroe imprendibile e invulnerabile in grado di combattere la criminalità organizzata che domina su Edge City. Derivato dal personaggio del fumetto creato nel 1982 da Mike Richardson e sorretto dagli effetti della Industrial Light & Magic, garantisce 100 minuti di spasso continuo, invenzioni gustose, effetti speciali che colpiscono il bersaglio. La carta vincente è Carrey, straordinario per mimica, dinamismo, eleganza, varietà di registro recitativo. Accorta sceneggiatura, invenzioni originali, regia fluida e persino una morale sui problemi dell’identità. Il regista lo firmò col nome di Charles Russell. 1° film della 22enne Diaz.
Ottimo per la fotografia, questo lungometraggio sulla caccia grossa in vari Paesi del mondo batte sul nervo (e sullo stomaco) di 2 spettatori su 3. Musiche di Carlo Savina e commento scritto da Alberto Moravia.
Colombo, Sri Lanka. Quando apprendono che la Germania vorrebbe invitare la nazionale di pallamano dello Sri Lanka a un torneo in Baviera, Manoj e Stanley – in attesa da anni di un visto per emigrare – raccolgono altri 21 disperati cingalesi, ignari di pallamano, e s’imbarcano per Monaco, ma all’arrivo sono obbligati a giocare. 1ª regia di Pasolini, responsabile di Full Monty (1997) e del suo straordinario successo, e anomalo produttore indipendente in area anglofona, che l’ha scritto con Ruwanthie De Chickera. Dopo quella sulla disoccupazione della classe operaia britannica, una commedia sulla fuga dal Terzo Mondo in cerca di lavoro e di una nuova identità. Pur in toni quasi cronachistici per descrivere lo spaesamento degli emigranti nella parte finale in Germania, rimane una commedia: “Un tema di forte presa sociale, un certo cinismo nel prenderlo di petto, una malcelata componente di qualunquismo, ma anche una lucidità fuori dal comune…” (Sergio Di Lino). Esposto alle Giornate degli autori a Venezia 2008 dove prese il Premio FEDIC (Federazione dei Cineclub).
Cina 1660. Con la sua banda di accoliti, Vento di Fuoco terrorizza la popolazione di diversi villaggi e semina morti, ruberie e soprusi. Per fermarlo vengono reclutati sette spadaccini – sei uomini e una donna – valorosi e imbattibili. Come in ogni western che si rispetti, alle varie fasi della riscossa segue un finale pirotecnico, vittorioso e aperto. Del romanzo di Liang Yusheng cui si è ispirato, T. Hark (nato in Vietnam ma laureato negli Stati Uniti e affermatosi a Hong Kong), cineasta rigoroso e insieme grande intrattenitore, ha ridotto all’essenziale le storie personali dei suoi 7 personaggi, privilegiando gli aspetti di romanzo popolare, di azione, di spettacolo. Il film – che aprì la Mostra di Venezia nel 2005 – è un epico avventuroso, storicamente ben documentato, con accenti realistici ed effetti speciali digitali, meravigliose imprese atletiche a base di arti marziali (con le impeccabili coreografie dello stesso regista) e risvolti fiabeschi, musiche sentimentali e paesaggi emozionanti. Anche se, soprattutto per noi europei, per una parte dei 144 minuti è difficile distinguere gli attori l’uno dall’altro; molto famosi in patria, riescono a disegnare personaggi realistici ed “eroici” nei loro ideali di onore e giustizia.
Ragazza si fa suora per non sposare l’uomo impostole dalla famiglia. Per ingelosire il marito assume cameriere orientale. Ragazzo corteggia straniera. Si divide tra il marito e l’amante, entrambi ammalati. Il livello dei 4 episodi è diseguale, trovate buffe si alternano a momenti caricaturali meccanici.
Afflitto da un piccolo disturbo, industriale entra in una clinica di lusso per esami. I controlli, invece, non finiscono mai. Di piano in piano, in salita, finisce al settimo dove lo aspetta la “commare secca”. È il vero esordio nella regia di Tognazzi che prende lo spunto da un bel racconto di Dino Buzzati ( Sette piani ), circondandosi di parenti e amici tra cui la Bettoja e Ferreri. Bella pulizia, qualche invenzione azzeccata. Dallo stesso racconto l’autore cavò Un caso clinico , messo in scena nel 1953 al Piccolo Teatro di Milano.
Sulle rive del Po giace stecchito il corpo di un operaio. Ma non è morto. È bloccato da Omicron, messaggero invisibile del pianeta Ultra. Rianimato, ne combina di grosse. Lo spunto fantascientifico è un pretesto per una satira di costume che parte con allegra grinta e poi perde colpi e scende di livello.
A promuovere l’iniziativa di innovazione didattica, nell’autunno del 1956, fu un gruppo di professori universitari di fisica guidato da Jerrold Zacharias e Francis Friedman, entrambi docenti del MIT: la fondazione del Physical Science Study Committee (PSSC) aveva l’obiettivo di esaminare le modalità di insegnamento dei corsi introduttivi di fisica nella scuola secondaria superiore dopo che molti insegnanti avevano espresso la convinzione che i libri di testo utilizzati nelle High school non fossero in grado di stimolare l’interesse degli studenti per la materia, né di insegnare loro a pensare e risolvere i problemi con l’approccio di un fisico. Nel 1957, dopo il successo sovietico dello Sputnik, negli Stati Uniti d’America era diffuso il timore che il sistema didattico statunitense non riuscisse a dare una buona preparazione in campo scientifico; interpretando questo timore, in risposta, il governo decise di aumentare i finanziamenti alla National Science Foundation a sostegno del PSSC. Negli stessi anni si andarono realizzando altri testi e manuali di fisica, di livello liceale e universitario, che intendevano innovare la presentazione nei materiali didattici dei metodi tradizionali di insegnamento: tra questi manuali, vi era l’Harvard Project Physics (destinato a un pubblico liceale, frutto di un progetto sviluppato tra il 1962 e il 1972) e testi universitari come La fisica di Berkeley (anch’esso finanziato dalla NSF-National Science Foundation[1]), affidato a un gruppo di specialisti, e La fisica di Feynman (incentrata sulla peculiare personalità di Richard Feynman).
L’idea della famiglia Simpson venne applicata da Matt Groening e James L. Brooks nel 1987, in una serie di corti animati di un minuto da mandare in onda durante il Tracey Ullman Show. La loro prima apparizione nel talk show avvenne il 19 aprile di quello stesso anno, in un corto intitolato Good Night. Da quel momento, fino al 1989, I Simpson andarono in onda durante gli intermezzi pubblicitari dello show, ottenendo un buon successo di pubblico. La serie debuttò in prima serata, sotto forma di episodi di mezz’ora, il 17 dicembre 1989.
I Simpson sono subito diventati uno show di punta della 20th Century Fox, grande casa produttrice di film; nel corso degli anni, infatti, hanno vinto numerosi e importanti premi televisivi.[1] Il numero del magazineTIME del 31 dicembre 1999 lo ha acclamato come “miglior serie televisiva del secolo”,[2] mentre il 14 gennaio 2000 lo show ha ottenuto una stella nella Hollywood Walk of Fame. Ad oggi è la più lunga sitcom[3] e serie animata[4] statunitense mai trasmessa. Come prova dell’influenza che lo show ha avuto nella cultura popolare, l’esclamazione contrariata di Homer Simpson, “D’oh!“, è stata introdotta nell’Oxford English Dictionary. I Simpson hanno inoltre influenzato diverse altre serie animate per adulti prodotte dalla metà degli anni novanta in poi.[5] Nel 2002 la rivistaTV Guide ha classificato I Simpson all’8º posto tra I migliori 50 spettacoli televisivi di tutti i tempi,[6]miglior posizione tra le serie animate.
Un uomo, una donna, due figli e le loro difficoltà economiche. Dormono dove capita, si lavano nei bagni pubblici, vivono come possono, ai margini della metropoli di Taipei. Sempre più rarefatto, tanto nella frequenza delle sue opere che nella successione di avvenimenti all’interno delle opere stesse, Tsai Ming-liang muta con il mutare dello Zeitgeist. Inevitabile, forse, ma uno dei registi-chiave del passaggio di millennio può permettersi di togliere le briglie residue della propria poetica e lasciarsi andare alla libertà dell’astrazione, come se dalla provocazione delle bandiere invertite di Johns si passasse alle bicromie imperscrutabili di Rothko. Il cinema del regista taiwanese era iniziato sotto le luci al neon di Rebels of the Neon God o nella sessualità scandalosa de Il fiume: oggi, benché ancora contraddistinto dal volto di Lee Kang-shek e da un inconfondibile e ineguagliabile gusto per l’inquadratura perfetta e per i silenzi di Antonioni, Tsai è quasi irriconoscibile. Il regista si spoglia di ogni orpello e di ogni riferimento esterno: niente più strizzate d’occhio al musical (The Hole), alla cinefilia (Goodbye Dragon Inn), alla nouvelle vague (Che ora è laggiù?) o al porno (Il gusto dell’anguria). Cinema come inevitabilità della messa in scena, autosufficiente e incontaminato. Stanco del cinema a parole, Tsai ne è più che mai posseduto nei fatti. Forse Stray Dogs è l’epilogo e l’atto definitivo di una carriera, forse il suo film più libero e puro nella matta disperazione con cui racconta la Ferocia della miseria, di una vita ai margini che spegne lentamente ogni residuo di umanità.
Mancano sette giorni al 2000. A Taiwan, dove piove a cielo rotto in continuazione, si diffonde un’epidemia misteriosa. I malati si comportano come scarafaggi. In un grande edificio – dove per intero si svolge la vicenda – un ragazzo e una ragazza non lasciano le loro abitazioni. Nell’appartamento sovrastante lui spia lei attraverso un buco, lasciato aperto da un idraulico. Quando lei s’ammala, attraverso il pertugio lui si allunga a porgerle un bicchiere d’acqua. Poi si tende, lei si aggrappa e viene tirata su. Non sono più soli. “Metafora sulla solitudine e sull’inquinamento terminale del mondo” (L. Tornabuoni), il 4° film del quarantenne e premiatissimo regista cinese è quasi muto, cupo, narrato in cadenze lente e ossessive, sostenute da una radicalità di sguardo che qui, grazie al supporto narrativo, si libera quasi completamente del suo decadentismo estetizzante. Realizzato per una serie TV ( Il 2000 visto da … ), il film durava in origine 58 minuti. Con un espediente produttivo che è diventato un originale e sagace contrappunto espressivo, le desolate ore vuote dei due personaggi sono intervallate da una mezza dozzina di luccicanti videoclip cantati e danzati alla maniera del musical americano. I 2 interpreti sono i protagonisti di Vive l’amour (1994).
La prima stagione, considerata un Original Net Anime, è composta da nove episodi cortometraggi prodotti da sette studi d’animazione giapponesi, ognuno dei quali racconta le proprie storie originali basate e ambientate nell’universo di Guerre stellari (ai creatori[2] di ogni studio è stato dato libero sfogo per rivisitare le idee di Guerre stellari come meglio credevano)[3] sotto la dirigenza della Lucasfilm.[4]
Star Wars: Visions è una raccolta di cortometraggi animati “visti dalla prospettiva dei migliori creatori di anime” ed offre una prospettiva nuova e diversificata su Guerre stellari.[3] Creati al di fuori dei vincoli del canone tradizionale del franchise, i cortometraggi offrono libertà creativa ad ogni regista e studio di produzione, pur mantenendo la fedeltà ai temi e all’identità emotiva della saga di Guerre stellari.[4]
La serie è ambientata dopo gli eventi della stagione finale di The Clone Wars e del film La vendetta dei Sith, e segue le vicende della “Bad Batch”, un gruppo di cloni geneticamente modificati che si ritrovano in una galassia stravolta dopo la fine delle guerre dei cloni.
La Clone Force 99, conosciuta anche come Bad Batch, è un gruppo di clone trooper d’élite con mutazioni genetiche uniche, che li distinguono dagli altri cloni soldato in quanto ad abilità e caratteristiche, che si trova ad affrontare il turbolento periodo che segue la fine delle guerre dei cloni. Composta originariamente da quattro membri soprannominati Hunter, Crosshair, Tech e Wrecker, successivamente all’operazione su Skako Minor nella serie Star Wars: The Clone Wars (serie animata) recluta un nuovo membro l’ex Clone soldato ARC Echo liberato nella missione di soccorso. Ogni membro della squadra è un clone potenziato geneticamente avente una peculiarità che lo contraddistingue dal resto degli altri Cloni (definiti “Reg”, diminutivo di Regular, dal team). Caposquadra è il sergente Hunter, il quale guida il suo team attraverso le peripezie che essi affrontano nella serie a loro dedicata.
Dieci anni dopo i drammatici eventi de Star Wars: Episodio III – La vendetta dei Sith, Obi-Wan Kenobi veglia su Luke Skywalker sul pianeta desertico di Tatooine, dopo aver subito la sua più grande sconfitta, ovvero la rovina del suo migliore amico e apprendista Jedi Anakin Skywalker che è diventato il malvagio e corrotto Signore Oscuro dei SithDarth Vader. Kenobi è chiamato in missione per salvare la piccola Leia, la figlia di Anakin, che è stata rapita dall’Impero Galattico in un complotto per tirare fuori il Jedi dal suo nascondiglio. Tutto ciò porterà ad un confronto col suo vecchio apprendista che è ora a capo degli Inquisitori, il cui compito è di distruggere gli ultimi frammenti dell’Ordine Jedi.
Quattordici anni dopo la fondazione del malvagio Impero Galattico, un gruppo eterogeneo di ribelli (accomunati dall’odio per l’Impero) si unisce a bordo di un’astronave cargo di nome Spettro, entrando in contatto con le prime scintille dell’Alleanza Ribelle.
Sulle sabbie di Tatooine, il cacciatore di taglie Boba Fett e la mercenaria Fennec Shand navigano negli inferi della Galassia e combattono per il vecchio territorio di Jabba the Hutt. Immerso nei ricordi all’interno della sua capsula curativa, Boba Fett rivive le esperienze passate, com’è sfuggito dallo stomaco del Sarlacc e com’è sopravvissuto unendosi a una tribù di predoni Tusken.
A Vienna durante la guerra 1914-18 la vedova di un ufficiale, divenuta prostituta, è assunta dai servizi segreti austro-ungarici con nome di codice X-27, scopre la spia russa H-14, lo fa arrestare; scopre di amarlo, lo fa fuggire: è condannata a morte per tradimento. 2° film americano della coppia Sternberg-Dietrich, straordinario e incompreso, miniera inesauribile di sorprese del Kitsch più sfrenato dove il ridicolo va a braccetto del sublime, trasgredendone le regole della narrazione, della verosimiglianza, del buon gusto con una anarchica follia che culmina nella sequenza finale. “È un’opera che ha in sé la propria parodia, intera” (G. Buttafava).
Le richieste di reupload di film deve essere fatto SOLO E ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.
Visto il poco spazio su Mega (2 terabyte) NON caricherò più serie tv e fumetti.
Se interessati a serie o fumetti contattatemi via email che vi spiego un metodo alternativo