Un film di Louis Leterrier. Con Jet Li, Morgan Freeman, Bob Hoskins, Kerry Condon, Vincent Regan. Titolo originale Unleashed. Thriller, durata 102 min. – USA, Francia, Cina, Gran Bretagna 2005. uscita martedì 10 maggio 2005. MYMONETRO Danny the Dog valutazione media: 2,73 su 19 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Continua per Luc Besson, in veste di sceneggiatore e produttore, il percorso di unificazione tra action orientale ed occidentale. Numerosi sono infatti i legami tra The Transporter, precedente screenwriting dello stesso Besson, e Danny the Dog. Troviamo alla regia Louis Leterrier, co-regista nell’opera precedente, mentre la componente orientale Shu Qi/Corey Yuen, co-protagonista e co-regista in The Transporter, è qui bissata dall’esplosiva coppia Jet Li/Yuen Wo-Ping, protagonista e coreografo d’azione.
Danny è un ragazzo allevato senza educazione civile né istruzione da un boss della malavita, che lo tiene come un vero e proprio cane. Tutto ciò che Danny conosce è la lotta, a cui è stato addestrato fin da piccolo e, vera e propria macchina da guerra, ha reazioni meccaniche ed animalesche quando viene sguinzagliato: una volta rimosso il ‘collare’, infatti, il ragazzo obbedisce ciecamente al padrone. In seguito a lotte tra bande rivali, Danny si troverà improvvisamente libero, e verrà accolto da un pianista cieco e da sua figlia; i due lo cureranno e lo aiuteranno a conoscere il mondo. Ma il suo ‘padrone’ non si sarà certo rassegnato ad averlo perso.
Sul fronte dell’azione non c’è di che lamentarsi: oramai Yuen Wo-Ping viene scomodato anche per le risse al ‘Bar del Corso’, qui almeno c’è Jet Li a giustificarne la presenza. Lo stesso Jet Li, indiscusso re delle arti marziali tanto criticato per la propria inespressività, ritrova, seppur aiutato dal ruolo, quell’istintività recitativa fatta di immedesimazione puerile, tanto apprezzata nei vari The Legend of Fong Sai-Yuk o in Tai Chi-Master. Con Morgan Freeman e Bob Hoskins, ci sarebbero già tutti gli ingredienti per una miscela esplosiva. Ma, sfortunatamente, così non è. Una regia attenta più alla forma che all’atmosfera gioca tutte le sue carte sul minimalismo, generando mini-climi intimistici ma rendendo il prodotto finale troppo circoscritto e privo, paradossalmente, di profondità. Racconta ma non ipnotizza, esalta ma non rilancia, costruisce per poi smontare. Dispiace per Jet Li, che non trova il boom sul mainstream, Hero a parte, dai tempi del pur sottovalutato The One; dispiace per Besson, che dovrebbe ricominciare a fare il one-man-band, dirigendo gli strepitosi soggetti che ultimamente dilapida in delega.
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