Storia di due ragazzi di vita che si prostituiscono: Mike, narcolettico e drogato, è alla ricerca della madre; Scott ha scelto i bassifondi in rivolta al padre ricco e potente, ma torna sulla retta via grazie all’amore di una ragazza italiana. Il personaggio è modellato sul principe Hal di Enrico IV di Shakespeare e corredato di un moderno Falstaff. Aduggiato da una greve retorica omosessuale di taglio freudian-americano, riscattato da un raffinato senso figurativo e da belle invenzioni registiche.
Due ragazzi di nome Gerry (Matt Damon e Casey Affleck, autori insieme a Van Sant della sceneggiatura) si perdono nel deserto. Questo il plot del film che ha segnato il punto di svolta dello stile registico del pittore dello schermo americano. Gerry costituisce infatti il primo capitolo di una trilogia dedicata alla giovinezza (Elephant e Last Days i due successivi), nella quale Van Sant, rinunciando al ritmo del montaggio, si fa portavoce di una concezione lenta e meditativa del tempo cinematografico. La steadycam segue gli ipnotici vagabondaggi dei due protagonisti attraverso lunghi piani sequenza che registrano la loro quotidianità e in sottofondo i suoni della natura di questo paesaggio ostile, privo di un centro e di punti di riferimento, all’interno del quale anche noi spettatori finiamo per perderci. In questo “western dell’anima” protagonista si fa allora il cammino, mezzo di liberazione e purificazione attraverso le prove alle quali il deserto (metafora della vita) sottopone i due Gerry. E non importa quale sia la meta, tanto – dice Gerry/Damon – “tutte le strade portano nello stesso posto”. I dialoghi beckettiani al limite dell’assurdo, il minimalismo narrativo, lo scenario ora selvaggio ora lunare del deserto della Death Valley, ne fanno un’opera profonda e poetica in cui regna un senso di attesa quasi metafisico.
Will Hunting, ragazzo di un quartiere povero di Boston con molti piccoli crimini alle spalle, fa le pulizie al MIT (Massachusetts Institute of Tecnology) ed è un genio matematico allo stadio brado. Se lo contendono due adulti colti: l’uno vuol prendersi cura del suo cervello (e del futuro del proprio portafoglio), l’altro del suo cuore. Con l’aiuto di una ragazza innamorata, vince il secondo. Ideato e scritto dagli attori Damon e Affleck (premiati con l’Oscar per la sceneggiatura originale),è un film complesso nella sua apparente semplicità (paradossalmente a mezza strada tra Belli e dannati e L’attimo fuggente) che tocca molti temi: l’isolamento; la ricerca di un padre (e di un figlio) tra due persone simili e complementari; il diritto-dovere di liberarsi di un’infanzia infelice; la difficoltà di vivere di un genio _ o, comunque, di un “diverso” _ che non vuole farsi assorbire o stritolare dal sistema. Oscar per l’attore non protagonista a R. Williams.
Jamal Wallace è uno studente del Bronx con una grande passione per la letteratura e un altrettanto grande amore per il basket. Casualmente entra in contatto con William Forrester, uno scrittore che vinse il Premio Pulitzer con l’unico libro pubblicato. Era poi scomparso e nessuno ne aveva saputo più nulla. A lui, che diviene il suo maestro, Jamal sottopone un racconto che viene giudicato positivamente. Il ragazzo ha ricevuto un’offerta di borsa di studio da una prestigiosa istituzione privata. Ma c’è un ostacolo: il docente di letteratura trova il suo testo troppo pregevole e non crede che un ragazzo del Bronx possa arrivare a tanto. Pertanto é meglio che resti al suo posto e pensi al basket. Nel frattempo anche Forrester trova un aiuto in Jamal.Riesce a uscire di nuovo dall’appartamento in cui si era autorecluso. Il ragazzo però non riesce a risollevare le sorti della propria squadra e tutto sembra risolversi negativamente quando… Gus Van Sant mantiene fermo il proprio sguardo sugli individui al margine e sulle età di passaggio. Questa volta lo fa con alle spalle un produttore/attore decisamente straordinario: Sean Connery. Il regista non solo non esaspera i toni ma sottolinea la propria continuità autoriale con un cameo affidato a Matt Damon. Will Hunting è ancora presente così come sono realmente presenti nel mondo ragazzi dotati che avrebbero ancora una voglia che il luogo comune dà per ormai estinta: quella di studiare per migliorarsi.
Il cinema ha spesso rivisitato la cronaca accentuando magari i tratti piu’ spettacolari della realtà. Gus Van Sant compie un’operazione analoga ma di segno opposto. Dopo Michael Moore anche Van Sant riflette sulla strage compiuta da due studenti nei confronti di compagni e professori nel liceo di Columbine negli Usa. Lo fa con un film di breve durata in cui si affida a una macchina da presa che pedina alcuni dei protagonisti che diverranno vittime o assassini quasi fosse una candid camera. Ne esce un quadro di desolante vuoto esistenziale, un tunnel che non ha una luce sul fondo. Non c’è più’ neppure la tragedia. La morte per strage si tinge di banale quotidianità.
Walt è il giovane proprietario di un negozietto di alimentari a Portland. Quando vi fa ingresso Johnny, un diciottenne messicano immigrato illegalmente, per lui è amore a prima vista. Non sarà così per il ragazzo latino americano che si protegge dall’assedio dello yankee facendosi scortare da un amico, Pepper. Per i due Walt è solo una persona da avere vicino per le primarie necessità e da evitare per altri motivi ma per ognuno dei protagonisti le cose non andranno secondo i desideri. L’esordio di Gus Van Sant dietro la macchina da presa ha tutte le caratteristiche del cinema indipendente degli Anni Ottanta.. Girato a bassissimo costo, con gli attori privi di compenso, il film fa percepire immediatamente la passione cinefila del neoregista e, al contempo, la sua originalità di scrittura. Girato in un rigoroso bianco e nero (con l’eccezione di un inserto e dei titoli di coda, un backstage antelitteram) Mala Noche insegue un’estetica personale denunciando al contempo un indubbio debito con il cinema pasoliniano. Il volto dello stesso Johnny denuncia il desiderio di avvicinarsi a quelle fisiognomiche che Pasolini mise al centro dei propri film. Doug Cooeyate ha infatti l’innocente sfacciataggine di un Ninetto Davoli ispanoamericano. Ma è nel rapporto sessuale ripreso in forte contrasto tra luce e oscurità che Van Sant inizia a mettere a fuoco un modo estremamente personale di portare sullo schermo il conflitto tra il desiderio di possesso e la possibilità di amore che si coniughi in una prospettiva più ampia. Sarà uno dei temi che accompagneranno il suo percorso d’autore. Qui già emerge con forza, insieme all’indiscutibile capacità di descrivere un microcosmo sociale grazie all’uso di primi piani solo apparentemente ‘rubati’ alla realtà.
Due coppie di tossici attraversano gli States nei primi anni ’70, rapinando drugstores , braccati da un poliziotto. La loro vicenda è raccontata in flashback dal capo (Dillon, in gran forma) della “famiglia” che vorrebbe uscire dal tunnel. Sceneggiatura del regista e di Daniel Yost da un romanzo autobiografico inedito di James Fogle, scritto in carcere. 2° film di Van Sant, ha il merito di raccontare i personaggi con lucidità, senza compiacimenti né moralismi, con una forza visiva di grande efficacia nella sua scioltezza, suggerendo le radicali scelte esistenziali che sono all’origine della loro vita allo sbando sotto il segno dell’eccesso. Nella piccola parte di un prete tossicodipendente c’è lo scrittore W.S. Burroughs (1914-97) con cui nel 1991 Van Sant realizzò il cortometraggio sperimentale Thanksgiving Prayer sui miti del “sogno americano”.
Blake è la copia addolorata di Kurt Cobain, che si consuma e consuma gli ultimi giorni della sua vita. La cronaca lirica e monotona della sua solitudine esistenziale è interrotta da un venditore di Pagine Gialle che gli pone quesiti inserzionistici, da un detective che rivela storie e aneddoti dimenticando il soggetto investigato e dalla madre di Blake che lo supplica di andare via con lei. Intorno alla casa, che lo contiene insieme alla sua musica, respira la natura, scorre l’acqua in cui Blake monda i peccati e fa scivolare il dolore. Circondato da giovani coinquilini indifferenti, Blake compone il suo requiem e si congeda dal suo corpo. Last days è il capitolo finale di una trilogia sulla morte: cominciata con Gerry, due giovani perduti nel deserto, e proseguita con Elephant, due studenti omicidi alla Columbine High School. A partire da Gerry, Gus Van Sant ha cercato di allontanarsi dalla narrazione tradizionale, lavorando in maniera originale e differente sul contenuto e la forma. Lo spazio è unico: il deserto, la scuola, la casa. Il tempo è circolare: si apre e si chiude sul corpo e il volto di Michael Pitt. Last days gioca con la sensazione di tempo reale e con le suggestioni che può creare il suo trascorrere. Il tempo quasi scaduto di Blake si muove orizzontalmente, in maniera ripetitiva, ma allo stesso modo suggerisce una progressione che porta all’atto finale e definitivo. Nel ripercorrere gli ultimi giorni del leader dei Nirvana, Van Sant rinuncia a investigare le motivazioni che lo hanno consumato, lasciando più di una domanda in sospeso. Non concede allo spettatore puntuali informazioni drammaturgiche e il film resta disabitato e lontano come la casa in cui il protagonista si rifugia e ripiega su stesso. Oltre quello che vediamo non c’è nulla, niente passato e niente futuro, soltanto il presente e la gelida cronaca di una morte (suicidio?Omicidio?Fatalità?). Kurt Cobain secondo Van Sant diventa una riflessione autoriale sull'”elefante” che nessuno vede ma ciascuno tende a rappresentarsi, sull’America giovane e invisibile lanciata nel vuoto. Così capita che l’elefante si appassioni alla morte come alla musica, quella suonata da Blake alla finestra, solo, singolo, senza più band.
Innamorata della vita e della natura, pittrice di insetti e uccelli, Annabel Cotton ha un cancro al cervello, sa di avere 3 mesi da vivere, non si dispera. Perduti i genitori in un incidente di cui si ritiene responsabile, l’irrequieto Enoch Brae è ossessionato dalla morte, s’infila nelle cerimonie funebri di gente che non ha mai conosciuto. Lei gli restituisce il gusto della vita. Anomalo melodramma in toni da commedia psicologica, in bilico tra realismo e fantasy come rivela il personaggio del fantasma di un kamikaze giapponese morto in battaglia che di Enoch è protettore e consigliere. Questa bizzarra, lenta, complicata storia d’amore tra due adolescenti oscilla in luoghi e abiti senza tempo, sorretta da 2 interpreti insostituibili: la Wasikowska con il carisma delle grandi attrici e il coetaneo Hopper, figlio di Dennis ed esordiente, che s’insinua con sapienza nei furori del suo personaggio. È il fantasma giapponese che dà ad Annabel un ultimo consiglio: “Non andartene in silenzio, non fare come me…”.
Gli ultimi 8 anni di Harvey B(ernard) Milk (1930-78). Nel ’73 a San Francisco apre con il compagno Scott Smith il Castro Camera, negozio di fotografia nel quartiere popolare Castro che diventa un punto di riferimento per i gay USA. Dopo 2 sconfitte elettorali, nel ’74 è eletto supervisor del Consiglio Comunale di San Francisco, il primo gay dichiarato che occupa una carica pubblica in USA. Il 27 novembre ’78 è ucciso con 5 proiettili, con il sindaco George Mosone, da Dan White, che, condannato un anno dopo con seminfermità mentale, si suicida nell’85. Teatrale ma secca la morte di Milk, come quella per impiccagione suicida di un amante casalingo. Come se Van Sant, gay dichiarato, volesse insinuare un mélo moderato senza ridondanze nel suo film più lineare e più esplicitamente politico sui temi della discriminazione e dell’omofobia, pur inserendo le strazianti note pucciniane di Tosca . Ne esce un personaggio positivo, ma non agiografico né retorico, che Penn, Oscar 2009 come miglior attore protagonista, interpreta con “impressionante mimetismo, lucido e struggente” (G. Canova). Nel 1975 il documentario The Times of Harvey Milk ebbe l’Oscar.
Insuccesso costato 118 milioni di dollari, appartiene più a Damon che a Van Sant: lo ha in parte prodotto, scritto con Dave Eggers e John Krasinski e interpretato nei panni di Steve Butler della Global Crosspower Solutions, un gigante dell’energia che distribuisce ricchi assegni a contadini poveri in cambio del diritto di estrarre gas naturale nascosto sotto i loro campi. Il sistema però può avere effetti collaterali gravi, inquinando le falde con conseguenze disastrose per raccolti e animali. Un ambientalista (Krasinski) in apparenza si impegna per boicottare Steve e la sua vispa collega (McDormand). Film di ottimi attori e pieno di buone intenzioni, con due difetti: 1) regia pallida; 2) protagonista inverosimile: com’è possibile che Steve, promosso dirigente, non conosca gli effetti delle trivellazioni che propone?
Le richieste di reupload di film deve essere fatto SOLO E ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.
Visto il poco spazio su Mega (2 terabyte) NON caricherò più serie tv e fumetti.
Se interessati a serie o fumetti contattatemi via email che vi spiego un metodo alternativo