A Milano giovane neoingegnere disoccupato, innamorato di un’allieva di scuola di ballo, si arrabatta per campare. Una dolce ragazza della porta accanto spiega che l’amore e la vita non sono poi così inagibili. Esordio di Nichetti con un film di infimo costo in cui la rinuncia all’elemento verbale è una scelta morale prima che stilistica. I suoi temi sono il lavoro, il teatro e l’amore con quello della marginalità in filigrana. I suoi giovani, smarriti tra un’integrazione difficile e un’alternativa mancata, tentano di sopravvivere (o sottovivere?), ma senza piagnistei, tra scampoli creativi, impegni precari e prestazioni sottopagate. Grande e inatteso successo di pubblico.
Il baffino timido Maurizio (Nichetti), doppiatore di vecchi cartoon americani e maniacale raccoglitore di suoni in diretta, prende una cotta per Martina (Finocchiaro), eccentrica assistente socio-affettiva, ma, colpito da malattia professionale, si trasforma a poco a poco in un disegno animato. 20 minuti su 95 sono di tecnica mista con risultati impeccabili. Tutto funziona: storia, personaggi (anche i minori), gag comiche, note umoristiche, dialoghi ridotti al minimo. La Finocchiaro dagli occhi ridarelli va in giro nuda o semivestita in una scena su due, ma il film è castissimo. Centrale, ancora una volta, il tema della condizione giovanile in termini di marginalità, precarietà e allegra, pragmatica vitalità. C’è anche la riflessione critica sui mass media con un lavoro di sperimentazione linguistica in funzione narrativa che non sempre pubblico e critica hanno saputo apprezzare.
Un film di Fred C. Newmeyer, Sam Taylor. Con Harold Lloyd, Mildred Davis, Bill Strothers Titolo originale Safety Last. Commedia, b/n durata 70 min. – USA 1923. MYMONETRO Preferisco l’ascensore! valutazione media: 4,08 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Le disavventure all’insegna della comicità di Harold Lloyd, il comico con gli occhiali e il cappello di paglia, che questa volta veste i panni di un giovane provinciale deciso a farsi strada. Il poveretto non conosce ancora le insidie della grande città. Si tratta del film più famoso del comico con la scalata dell’edificio e l’episodio delle lancette del grande orologio
È il 1926, J. Robert Oppenheimer è un giovane studente di fisica presso l’università di Cambridge ed è così ossessionato dall’ascoltare la lezione del professore ospite Niels Bohr che, per ripicca verso l’insegnante che lo fa ritardare, arriva a un piccolissimo passo dal compiere un gesto irreparabile. È il 1954, Oppenheimer si sottopone a una serie di udienze private dove cerca di difendersi dalle accuse di comunismo, per conservare il proprio accesso allo sviluppo di progetti top secret. È il 1958, Lewis Strauss affronta un pubblico dibattimento per dimostrare la propria idoneità come Segretario del commercio di Eisenhower, ma in questa circostanza viene riesaminato il suo rapporto con Oppenheimer. In mezzo c’è naturalmente la cronaca dell’ascesa del protagonista, dai dipartimenti di fisica americana alla direzione del laboratorio di Los Alamos, dove darà vita alla prima bomba atomica.
Mentre la Terra si desertifica, Murph, la figlia adolescente dell’agricoltore ex pilota Cooper, scopre nella sua stanza misteriosi segni di sabbia. Decodificandoli, Cooper arriva alla centrale sotterranea di una NASA segreta, i cui scienziati hanno progettato 2 piani per salvare la specie umana dall’estinzione. Sfruttando un wormhole , cioè una scorciatoia nello spaziotempo, messo a disposizione da misteriosi esseri impercettibili, Cooper dovrà cercare il pianeta più adatto su cui far sopravvivere l’umanità. Lo troverà proprio ai bordi di Gargantua, un enorme buco nero, tuffandosi nel quale alla fine riuscirà a chiudere il cerchio spaziotemporale. Ossessionato dal problema del tempo fin da Memento (2000), Nolan, con il fratello Jonathan, vi impernia la scrittura di un SF action thriller che non fa mistero di voler essere un compendio del genere – da 2001: Odissea nello spazio (1968) a Gravity (2013) passando per Star Trek (1979-2009) e Guerre stellari (1997-2008), Signs (2002) e Inception (2010) – ma anche di ambire a esserne il nuovo apice. Ci riesce – su tutti la visionaria rappresentazione dell’irrealtà del tempo, ispirata a Escher, a Borges e alle fughe di Bach per le musiche (Hans Zimmer) – ma pecca di zelo accumulatorio e di affettazione declaratoria. Grazie alla consulenza del fisico Kip Thorne (anche produttore esecutivo), e a 165 milioni di dollari, ha il merito di contribuire alla divulgazione scientifica, ma anche in parte di confonderla, perché scivola sempre più nel fantastico.
Dal romanzo Arrow in the Sun di Theodore V. Olsen: un soldato federale scampato a un micidiale attacco dei pellerossa e una ragazza che ha vissuto con i Cheyenne assistono al massacro di Sand Creek del 1864 compiuto dalle giacche blu, nel quale morirono 500 indiani fra cui donne e bambini. Aperto e chiuso con un massacro, è un western violento che denuncia l’inferno delle guerre indiane, nascondendo le sue ambizioni di apologo sul Vietnam. Famoso, o famigerato, per la carneficina conclusiva che non esclude stupri né evirazioni. Le copie in circolazione sono spesso alleggerite dei particolari più raccapriccianti.
Attratto dalla politica liberale di Jack Stanton (Travolta), governatore democratico di uno Stato del Sud in corsa per la Casa Bianca, Henry Burton (Lester), nipote di un leader nero degli anni ’60, entra nel suo staff per le primarie presidenziali. Impara così quanto sia lurida e spietata la lotta politica. Tratto da un romanzo di Joe Klein, caporedattore di Newsweek che seguì la campagna di Clinton nelle primarie del ’92. I riferimenti a Bill Clinton e a sua moglie Hillary sono così espliciti da trasformare il film Universal in una tempestiva e antimoralistica arringa di difesa. Ridondante, prolisso, troppo preoccupato di essere politicamente corretto, privo di energia nella denuncia, ha avuto 2 candidature all’Oscar: sceneggiatura (Elaine May, ex moglie del regista) e attrice non protagonista (K. Bates) grazie al personaggio più significativo della storia.
Vittima di una rara malattia che non gli permette di ricordare quello che ha fatto, detto o visto negli ultimi quindici minuti, l’investigatore Leonard si propone di scoprire chi gli ha violentato e ucciso la moglie. Per riuscirci si organizza un complesso sistema di segnali: foto polaroid, appunti istantanei, tabelle geografiche, tatuaggi sul corpo. Virtuoso della sceneggiatura (tratta da un romanzo del fratello Jonathan) e della regia, il giovane inglese Nolan dipana la sua detective story a colpi di avanti e indietro temporali. In linea con il precedente Following (1998), è un film-scommessa, sorretto dall’energia nevrotica del protagonista Pearce. Esercizio stilistico che, a lungo andare, mostra la corda del formalismo? Inquietante favola in forma di destrutturato incubo mentale sulla labilità della memoria, dell’amore, dell’identità, della vendetta?
3° episodio. Sono passati 8 anni dalla sconfitta di Joker e dalla morte di Harvey Dent/Due Facce. Batman è scomparso assumendosi la colpa dell’omicidio di Dent per assicurare alla polizia gli strumenti necessari per portare avanti un’efficace lotta alla criminalità organizzata di Gotham. Bruce Wayne, straziato dalla morte di Rachel e sfiduciato, vive come un eremita in una parte della sua magione. Torna in attività quando compaiono la ladra Catwoman (che gli risveglierà anche i sensi) e il terrorista Bane con il suo piccolo esercito. Accusato ed esaltato dalle diverse fazioni di nemici e fans, è il degno epilogo della trilogia cinematografica che Nolan ha tratto dal fumetto di Bob Kane: spettacolare e ingenuo, fantasioso ed esagerato, dagli impeccabili effetti speciali e di grande successo (box office mondiale: 1 miliardo di dollari).
Il crimine organizzato a Gotham City ha le ore contate. Batman, il tenente Gordon, il nuovo Procuratore Distrettuale e alcuni improbabili epigoni dell’Uomo Pipistrello in imbottiture da hockey hanno dichiarato guerra ai criminali. La loro fortuna e i loro dollari, accumulati in una banca di massima sicurezza, vengono rubati da Joker, un pagliaccio sadico e mascherato che getterà la città nel disordine e nell’anarchia. Riempite le tasche di lame, polvere da sparo e lanugine, Joker sfiderà il cavaliere oscuro di Bruce Wayne e rivelerà il lato oscuro di Harvey Dent, l’eroe procuratore che applica la giustizia e agisce a volto scoperto. Negli anni il fumetto ideato da Bob Kane si è “riletto” per riscriversi in nuove forme, in questo modo ha riscritto anche il proprio rapporto con il cinema. Si è perciò compiuto il progetto di portare sullo schermo Batman, evitando l’estetica pop-camp di una precedente età televisiva, interiorizzando le proprietà narrative del fumetto e quelle del video e procedendo verso la loro integrazione radicale.
Bruce Wayne, giovane rampollo di un illuminato filantropo di Gotham City, vede i suoi genitori assassinati da un rapinatore. Incapace di liberarsi del senso di colpa, inizia un vagabondaggio che lo porta fin sulle vette dell’Himalaia, dove Ra’s Al Ghul e il suo fido Ducard lo iniziano alla via del loro culto ninja. Wayne è deciso a servire la giustizia e tornato a Gotham, trova in Falcone, potente trafficante di droga, e in Crane, altrettanto corrotto psichiatra, i due più acerrimi nemici, dietro ai quali però pare celarsi qualcuno di ancor più potente. L’unico modo per combatterli è diventare un simbolo, che dia forza e speranza alla gente. Per chi non l’avesse capito, questo simbolo si chiamerà Batman, l’uomo-pipistrello, terrore dei criminali nella metropoli della corruzione. L’ambiguità psicologica di Wayne/Batman diventa finalmente il fulcro di un film a lui/loro dedicato: non poteva essere messo in mani migliori, visto che Nolan, nella sua pur breve carriera, ha dimostrato di avere una somma predilezione per i meandri più fangosi della mente umana.
Maggio, 1940. Sulla spiaggia di Dunkirk 400.000 soldati inglesi si ritrovano accerchiati dall’esercito tedesco. Colpiti da terra, da cielo e da mare, i britannici organizzano una rocambolesca operazione di ripiegamento. Il piano di evacuazione coinvolge anche le imbarcazioni civili, requisite per rimpatriare il contingente e continuare la guerra contro il Terzo Reich. L’impegno profuso dalle navi militari e dalle little ship assicura una “vittoria dentro la disfatta”. Vittoria capitale per l’avvenire e la promessa della futura liberazione del continente.
Al suo ultimo giorno di scuola, Yuko, insegnante di una scuola media, offre ai suoi allievi del latte e inizia la sua confessione: 2 dei ragazzini sono secondo lei responsabili della morte della sua adorata figlioletta di 4 anni e lei sta mettendo in atto la sua vendetta, ha infatti iniettato nel loro latte il sangue del suo compagno, padre della bimba, morto di Aids. Questo avvio – che dura sui 30′ – è la premessa, lineare e agghiacciante, di un film che poi s’ingarbuglia nei flashback e nelle spiegazioni che ricostruiscono i fatti. Dal romanzo omonimo di Kanae Minato, un’analisi feroce del mondo degli adolescenti, un atto d’accusa nudo e crudo contro i genitori incapaci di fare i genitori e una desolante e tremenda affermazione dell’impossibilità di comunicazione tra le due generazioni. Buona colonna sonora, interpreti adeguati. Uscito in Italia con 3 anni di ritardo. VM 14.
Tre amici che non navigano nell’oro decidono di mettere insieme i pochi soldi che hanno e di acquistare un biglietto della lotteria nazionale rumena. Nel momento in cui scoprono di avere vinto una cifra astronomica, quello di loro che aveva in custodia il biglietto pensa che gli sia stato sottratto da due malviventi incontrati per caso. È ora necessario scoprire chi sono per poterlo recuperare.
Da un lato c’è il comandante Sinclair, non molto ligio ai regolamenti, umano con i subalterni, perché lui stesso è stato subalterno; dall’altro il colonnello Barrow, che prende il posto di Sinclair e che si mostra duro con il reggimento. (trama cancellata per evitare spoiler)
Un film di Sandra Nettelbeck. Con Martina Gedeck, Sergio Castellitto, Maxime Foerste, Sibylle Canonica, August Zirner, Ulrich Thomsen. Titolo originale Bella Martha. Sentimentale, Ratings: Kids, durata 105 min. – Austria, Italia, Germania, Svizzera 2001. MYMONETRO Ricette d’amore valutazione media: 2,53 su 13 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Martha lavora come chef in un rinomato ristorante francese di Amburgo, il Lido: single convinta, delusa sagli uomini, ha scelto da tempo di concentrarsi solo sul lavoro vivendo un’esistenza piuttosto monotona, scandita dai ritmi del ristorante. Un giorno però la sorella muore in un incidente e Martha è costretta ad occuparsi della nipotina, rimasta sola al mondo. Ma questo non è l’unico evento che sconvolge la vita della donna: costretta a una breve assenza dal ristorante, quando torna scopre che il proprietario, ha assunto Mario, uno chef italiano, per aiutarla sul lavoro in un momento così difficile. L’allegria e la voglia di vivere dell’uomo, nonostante i contrasti iniziali, riusciranno lentamente a conquistare anche la gelida Martha.
Per rubare una preziosa scultura cinese ci si mettono in tre: un avventuriero, uno scultore e una donnina allegra. Sorpresa finale. Un meccanismo molto scorrevole sui toni comico-giallo-rosa. Una S. MacLaine eurasiatica non si era mai vista.
Radio e televisione trasmettono un crescendo di allarmanti notizie sull’acuirsi della tensione internazionale tra Russia ed Occidente, ma a Lawrence, nel Kansas, come in altre parti dell’America, nessuno sembra farvi troppa attenzione. Mentre la gente è alle prese con i piccoli problemi quotidiani, le basi militari ricevono messaggi in codice che allertano i sistemi di sicurezza ed innescano le misure di ritorsione contro un’aggressione nucleare. Quando il cielo si squarcia in due accecanti bagliori, per un attimo la vita si ferma come sospesa: i motori non funzionano più, le radio ammutoliscono, poi la gente per le strade, in viaggio nelle macchine o all’interno delle abitazioni è investita dall’urto formidabile dell’esplosione. L’onda radioattiva polverizza uomini e cose. Coloro che si salvano scoprono una distesa di macerie e campi fumanti ricoperti da cenere bianca. Nell’unico ospedale ancora funzionante si organizzano i primi soccorsi, ma la situazione diventa insostenibile per l’ininterrotto affluire di feriti e per la scarsezza dei mezzi necessari a fronteggiare l’emergenza. All’esterno chi tenta di allestire campi di accoglienza non ha altra indicazione che quella dei manuali di sopravvivenza stilati tempo addietro dalle autorità locali, logori e inutilizzabili nella loro assurda impostazione burocratica. Il racconto intreccia il destino di un pugno di personaggi (il dottor Oakes, l’agricoltore Dahlberg, lo studente Klein e pochi altri) cogliendoli dapprima nella loro dimensione quotidiana e trasfigurandoli poi, nel dramma dell’olocausto, in figure emblematiche di una umanità allo sbando, priva delle certezze di un’intera vita, impotente di fronte al dolore e alla morte dei propri cari, senza la prospettiva di un futuro. Il regista e romanziere Meyer costruisce il racconto del “giorno dopo” intervallando con buona abilità situazioni da soap-opera con i meccanismi del filone catastrofico e del documentario-inchiesta, e chiudendo con due sequenze che in qualche modo riassumono il senso della trascorsa civiltà: la nascita di un bambino fortemente voluta da una madre, e l’abbraccio silenzioso tra due sopravvissuti sulla polvere di quella che un tempo era stata una casa.Prodotto per la televisione, il film ha riscosso grande successo presso il pubblico americano, ma non altrettanto presso la critica – specialmente europea – che ne ha fatto un piccolo “caso”, condannando l’intera operazione come una delle più astute spettacolarizzazioni dell’orrore, secondo un deprecabile gusto tipicamente hollywoodiano.
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