Il soggetto è ricavato da alcuni raccontini per ragazzi scritti da Ian Fleming, l’inventore di 007. Il geniale ma squattrinato inventore Potts (con due figlioletti e vecchio padre a carico) compra i resti di una gloriosa auto da corsa. La rimette in sesto e la inaugura con una gita al mare alla quale partecipa anche Stella, l’avvenente figlia di un fabbricante di dolciumi a cui Potts invano ha cercato di vendere la caramella che fischia da lui ideata. Per lo strano rumore che produce quando è in moto, la nuova auto viene battezzata Citty Citty, Bang Bang. Sulle ali della fantasia, Citty Citty porta gli allegri gitanti attraverso avventure incredibili, in terra e in cielo.
Una luce nel buio è un film di genere drammatico, family, storico del 1984, diretto da Delbert Mann, con Timothy Bottoms e Susan Dey. Durata 99 minuti.
Una luce nel buio, film diretto da Delbert Mann, segue le vicende di Morris Frank (Timothy Bottoms), un ex pugile che, in seguito a un brutto incidente, è rimasto irreversibilmente cieco. Sebbene non sia più in grado di fare nemmeno le più piccole cose da solo, l’uomo non vuole rinunciare alla sua autonomia. Quando sembra aver perso tutte le speranze, però, viene a conoscenza di un nuovo progetto innovativo in Europa per i non vedenti: una sorta di scuola che addestra cani guida per accompagnare individui affetti da cecità. È così che Frank decide di provarci e ottiene un amico a quattro zampe che lo accompagni nella sua quotidianità e, soprattutto, durante i suoi allenamenti. Tuttavia scopre ben presto che l’animale non può entrare ovunque: niente trasporti o edifici pubblici, e tantomeno aziende. Furioso per queste regole ingiuste, l’uomo farà di tutto per far sentire la sua voce e difendere i suoi diritti. Riuscirà nell’impresa?
Ex giocatore di baseball diventato allenatore alcolizzato ha il compito di addestrare una scalcinata squadra di strada nel torneo della Little League. Soltanto grazie al combattuto ingresso in squadra, come pitcher, di una quattordicenne più sboccata dei maschietti, i fuoricasta cominciano a vincere una partita dietro l’altra. La sceneggiatura di Bill Lancaster, figlio di Burt, è impregnata e imperniata sul tema dell'”etica vincente” che contribuì al suo grande successo di pubblico nella patria del baseball soprattutto tra gli spettatori giovani di provincia, ma il merito è anche dei duetti Matthau-O’Neal, ben guidati dalla regia. Due film mediocri a seguire.
Rimasto orfano dopo un incidente, un bambino di otto anni va a vivere a Demopolis, in Alabama, con la nonna. È il 1968, per gli afroamericani la vita non è semplice, ma per nonna e nipote il pericolo viene soprattutto dalla scoperta che le streghe – creature malvagie e orribili che odiano i bambini sopra ogni cosa – sono tornate. Convinti di sfuggire alla persecuzione, si rifugiano in un hotel di lusso dove lavora un loro cugino, senza sapere, però, che proprio in quel luogo sfarzoso si terrà l’annuale raduno delle streghe. E che la tremenda Strega suprema ha intenzione di trasformare tutti i bambini del mondo in topi.
Morris “Mud” Himmel ha un problema. I suoi genitori vogliono disperatamente mandarlo ad un campeggio estivo, cosa che il ragazzino odia e per questo farebbe di tutto per uscirne fuori. Parlando coi suoi amici, capisce che anche ognuno di loro deve affrontare lo stesso problema: trascorrere l’estate in un noioso campeggio. Assieme ai suoi amici, organizza un piano per ingannare tutti i genitori facendo loro credere di frequentare un campeggio, ma in realtà Mud ne realizza uno a sua arte, che in effetti sarebbe una sorta di “paradiso senza genitori”. Ricattando l’insegnante di drammatizzazione Dennis Van Welker affinché li aiuti, affittano un terreno con una cabina e un lago. La prima notte lì i ragazzini richiedono il denaro pagato dai genitori per iscriverli al campeggio.
Danny e Walter, due fratelli rispettivamente di sei e dieci anni, trovano un vecchio gioco da tavolo nello scantinato di casa. Danny decide di cominciare a giocare. Così lui e il fratello si trovano all’improvviso proiettati nello spazio profondo. Tratto da un romanzo dell’autore di “Jumanji” e simile a quel libro e a quel film come impianto narrativo, Zathura riesce però ad essere un film che può piacere sia ai ragazzi (per la sua struttura avventuroso-fantascientifica) sia agli adulti che ancora ricordano i buoni vecchi film degli anni Cinquanta. Non perché gli effetti speciali qui adottati siano risibili ma proprio perché si vuol ricreare un clima alla Ai confini della realtà con quel po’ d’ingenuità d’altri tempi che ogni tanto non ci farebbe male in un cinema in cui la perfezione degli effetti spesso raggela la voglia di raccontare.
Un furfante cerca di far passare un’orfanella per un’ereditiera, in modo da poter mettere le mani sulla sua eredità. Una delle ultime apparizioni cinematografiche di David Niven, come sempre godibile, nei panni di un maggiordomo.
Bob Munro è un uomo sulla cinquantina: una bella casa in un quartiere residenziale, un lavoro frustrante ma redditizio, una moglie attraente e due figli che, arrivati nella fase adolescenziale, non lo considerano più. A causa di un’irrinunciabile – pena il licenziamento – riunione di lavoro, decide di spostare la meta delle sue vacanze e di portare tutta la famiglia, invece che alle agognate Hawaii, in Colorado, luogo in cui si svolgerà proprio la riunione. Mezzo di locomozione un immenso e colorato camper difficilmente manovrabile e super accessoriato. Le disavventure durante la vacanza si susseguiranno una dopo l’altra e il nucleo familiare, anche grazie alla conoscenza di una famiglia felice e post hippy di camperisti, ritroverà la condivisione di certi ideali nonché il piacere e il gusto di stare insieme.
Il congegno per rimpicciolire gli oggetti sfugge al controllo di un inventore genialoide quanto pasticcione e i primi a essere ridotti a proporzioni minime sono i figli dello svagato papà e i loro amici. Inutile cercarli: essi vagano in groppa a una formica e un’ape li spaventa come fosse un mostruoso jet. Ritorneranno alla normalità dopo un sequela ininterrotta di avventure in cui la realtà è stravolta dall’ottica lillipuziana e da accurati effetti speciali.
Zach è costretto a lasciare New York per seguire la madre in una cittadina di provincia. La noia è pronta ad accoglierlo, ma le cose cambiano quando Zach conosce Hannah, sua coetanea e vicina di casa, e si convince che la ragazza sia vittima della furia del padre, un personaggio sgarbato e minaccioso. L’occasione più classica, ovvero il ballo scolastico, dovrebbe fornire a Zach il momento giusto per salvare eroicamente la fanciulla. Peccato, però, che il padre di Hannah altri non sia che R. L. Stein, prolifico autore di storie da brivido, e che le creature della sua immaginazione abbiano deciso di uscire dai libri giusto quella sera e di invadere le strade della città. A doversi salvare, a questo punto, sono tutti, nessuno escluso.
Stanley è un teenager che viene accusato del furto di un paio di scarpe donate da una star del baseball ad un orfanotrofio. Viene quindi rinchiuso per 18 mesi in un carcere dove deve scavare buchi La filosofia del campo è semplice: “Prendete un cattivo ragazzo. Mettetelo a scavare buchi per tutto il giorno sotto il sole e diventerà un bravo ragazzo”. Tratto da un romanzo letto da milioni di ragazzi nel mondo anglosassone il film non tradisce le aspettative dei lettori, avvalendosi anche di altre due vicende che vengono interpolate con quella principale.
Tre adolescenti video-dipendenti e computerizzati costruiscono un improbabile veicolo spaziale e vengono risucchiati da un’astronave carica di mostriciattoli verdi che, a parte l’aspetto, sono tali e quali agli explorers terrestri: petulanti, teledipendenti e contestatori.
Tratto dalla famosa serie televisiva. Le avventure del delfino Flipper che coi suoi amici vigila sulle isole incontaminate, proteggendole dai cattivi antiecologisti.
La famiglia Whitney adotta un cucciolo di foca rimasto orfano, il quale, dopo lo svezzamento, darà molti problemi alla sua famiglia adottiva; la situazione avrà ampio risalto nei media, i quali porteranno il caso alla ribalta.
I Goonies, scatenato gruppo di ragazzini abitanti nel quartiere di Goon Docks, devono dare l’addio alle case dove sono nati e cresciuti: i signorini del club del golf hanno dato lo sfratto alle loro famiglie per radere al suolo il quartiere e costruire nuovi, esclusivi, campi da gioco. Poco prima di andarsene, uno dei Goonies scopre in soffitta una vecchia mappa del tesoro, scritta da un pirata spagnolo del ‘600. Mettendo le mani sul bottino dell’antico corsaro, i ragazzini potrebbero salvare le loro case.
Due fratelli, cacciatori di taglie e separati da un’annosa rivalità, sono riuniti dalla mamma per Natale per dare la caccia a una banda di cattivacci. Un western casereccio in cui la coppia Hill-Spencer tenta di riciclarsi riproponendo, senza aggiornamenti, i vecchi schemi e le gag di 20 anni prima.
Diligente versione, prodotta dalla Disney, del popolare romanzo di Robert Louis Stevenson, ancor più della prima mirata a un pubblico di ragazzi. Newton è, comunque, istrionicamente pittoresco. Nel ’54 l’attore fu il protagonista del film australiano Long John Silver, che della vicenda è un seguito, e di una omonima serie televisiva in 26 episodi di mezz’ora.
Da qualche parte nell’Inghilterra vittoriana c’è un muro di mattoni che separa il villaggio reale di Wall da Stormhold, una città fantastica governata da un re malvagio e abitata da streghe e creature magiche. Al di qua del muro vive Tristan, un giovane garzone che sogna l’avventura e il grande amore. Figlio di una principessa del regno di Stormhold e di un inglese, il ragazzo decide di attraversare il muro per donare una stella alla ritrosa Victoria. La stella, Yvaine, è una fanciulla luminosa precipitata dal cielo alla morte del sovrano. Il suo cuore immacolato è bramato da Lamia, una strega crudele che vorrebbe strapparlo e divorarlo per riconquistare la giovinezza. Sul petto di Yvaine batte il rubino che permetterebbe ai sette principi, rivali e litigiosi, di regnare su Stormhold. Braccata dai desideri dei malvagi, spetterà a Tristan proteggere lo splendore di Yvaine. Tratto dal romanzo illustrato di Neil Gaiman e Charles Vess, pubblicato per la prima volta nel 1998, “Stardust” è la favola che tutti vorrebbero leggere e, adesso, vedere. La versione cinematografica di Matthew Vaughn non delude le attese del pubblico grazie alla perfezione delle immagini, alla tecnologia sbalorditiva impiegata per gli effetti speciali e all’efficacia della recitazione. Il regista inglese crea sullo schermo un mondo fantastico dove si ragiona in termini supremi: la lotta tra il Bene e il Male, il senso insaziabile dell’uomo per la ricerca di una stella, dell’amore vero, della casa e del destino ultimo. Come ogni eroe, Tristan varcherà la soglia, il muro di Wall, e affronterà l’ignoto e l’incanto dell’avventura: volare con un pirata frivolo che imprigiona i fulmini o scontrarsi con una strega nomade che trasforma una principessa in un fringuello. Un soggetto da rito di passaggio su come un “garzone” riesca a riconciliarsi con le umiliazioni subite e a scoprire le proprie incredibili possibilità. La “polvere cosmica” di Vaughn ha dalla sua (anche) la qualità superiore di tutte le interpretazioni, con punte massime nell’autenticità degli “adolescenti”, Claire Danes e Charlie Cox, pieni di stupore e di angoscia nello stare al gioco di se stessi. Si aggiungono i numeri accattivanti di Michelle Pfeiffer, strega radiosa che Vaughn magnifica in straordinari primi piani, e Robert De Niro, filibustiere vezzoso col vizio del travestitismo.
Il Muppet Show (The Muppet Show) è una trasmissione televisiva ideata dallo statunitenseJim Henson, andata in onda dal 1976 al 1981. I protagonisti sono dei curiosi pupazzi detti Muppet, dalla fusione tra le parole inglesi marionette (marionetta) e puppet (pupazzo). Jim Henson (animatore materiale anche di alcuni dei protagonisti), già presenza importante del programma Sesame Street (in Italia come “Sesamo apriti”), che ha in parte rivoluzionato il mondo della televisione per bambini, riuscì con questo programma a collocare i suoi pupazzi in una cornice rivolta ad un pubblico di adulti. Ogni puntata della serie ha come ospite speciale un artista che interagisce con i muppet, alla maniera di un famoso show televisivo americano, l’Ed Sullivan Show. Il Muppet Show è stato sicuramente il più grande successo dei Muppet essendo andato in onda in più di 100 paesi. Nonostante il programma sia stato prodotto negli Stati Uniti, lo spettacolo viene trasmesso per la prima volta nel Regno Unito
Con tutto il rispetto per le ‘anime’ (giapponesi) e con l’ammirazione per il dispiegarsi di tecnologia la domanda è: perché perdere quasi due ore della propria vita davanti a un “megavideogioco” con il quale non è neppure possibile interagire? Perché creare personaggi che assomigliano ad attori veri (a voi il gioco dei riconoscimenti) per inserirli in una vicenda che accumula citazioni, prestiti, furti da altri film (anche qui potete darvi da fare a cercare)? Per mostrare quello che può il computer? Lo sapevamo già, grazie. È come se, all’epoca dell’invenzione del sonoro, si fosse realizzato un film fatto di musiche, rumori e voci. ma su fondo nero.Quando Sakaguchi è comparso sul palco della Piazza Grande di Locarno più d’uno ha desiderato che fosse un essere virtuale. Invece no. È reale ed è pronto a regalarci nuove virtualità senza virtù.
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